Quando alcuni fraintendimenti o errori comuni all’interno della gestione della sicurezza diventano dei veri e propri miti e leggende.
Parlare di miti e leggende quando si parla di un settore che dovrebbe essere normato fino alla radice del capello, rischia di attirare critiche e sentimenti contrastanti.
Soprattutto fra tutti quei professionisti che vivono di sicurezza e prevenzione ogni giorno, da anni.
Per questo voglio tranquillizzare chi leggerà questo breve articolo.
Gli errori comuni di cui andremo a parlare sono, appunto, molto comuni e anche comprensibili.
Spesso frutto di interpretazioni comuni errate o di estrema semplificazione delle normative vigenti assai complicate.
L’unico modo per non commettere mai questo tipo di errore sarebbe possedere una cultura e un’esperienza sterminata in tutti gli ambiti della sicurezza, oggettivamente impossibile per la maggior parte di noi comuni mortali.

Miti e leggende dell’antica Grecia – il mito di Icaro, l’uomo che voleva volare ma che ha volato troppo vicino al sole… rivisitato da noi
Il confronto tra professionisti.
La maggior parte di questi miti e leggende riappaiono soprattutto durante i nostri seminari o workshop.
A volte riusciamo, nel nostro piccolo e per quella che è la nostra competenza, a dimostrarne l’infondatezza.
Altre volte sembra che parliamo di astrologia.
Ma veniamo al punto.
Ecco 10 dei maggiori miti e leggende che circolano su quelli che sono i sistemi e dispositivi anticaduta.
1 – Quando si cade, il dissipatore si apre tutto e si arriva a sbattere a terra.
FALSO il più delle volte.
Il dissipatore o assorbitore di caduta (fall absorber) è un dispositivo a norma EN 355.
E’ un elemento del sistema di connessione tra l’ancoraggio e l’imbracatura.
La sua funzione principale è quella di rallentare l’arresto di caduta e fare in modo che le forza di arresto non sviluppi più di circa 600 kg.
I 6 kN è infatti considerato il limite di sopportazione del corpo umano (diamo il dato per assodato) oltre il quale possono esplodere gli organi interni, ecc. ecc.
Il dissipatore si attiva ad una tensione di 250 kg circa e si apre in maniera progressiva e proporzionale alla forza sprigionata dalla caduta.
Per cui, di quanto si apre?
Semplice, in base alla forza di arresto necessaria che dipende da due fattori principali:
- Il peso dell’operatore compresa la sua attrezzatura;
- La velocità di caduta che dipende da quanti metri cade un operatore prima che il sistema entri in tensione.
Un corpo di un certo peso, in caduta, tende a raggiungere una certa velocità in base alla distanza di caduta.
Quando il sistema entra in tensione, possiamo dire che ha raggiunto la massima velocità.
La forza di arresto è quella forza che serve a fermare (quindi a riportare a velocità 0) il corpo in caduta.
Questa forza dipende dal tempo necessario per arrivare all’arresto completo del corpo.
Minore è il tempo che impiega, maggiore è la forza che serve a fermarlo.
Ergo, per diminuire la forza, devo aumentare il tempo di arresto ed è quindi necessario più spazio (la lunghezza di apertura del nostro dissipatore)
Se la distanza di caduta è vicina allo zero (fattore di caduta zero), ecco che anche la velocità che raggiunge il corpo rimane prossima allo zero per cui la forza necessaria a fermare il corpo è di poco superiore al peso dell’operatore.
Di quanto si allunga quindi il dissipatore? Se non raggiunge i 250 kg, abbiamo detto, non si allunga per niente.
Se il dissipatore si apre e si allunga, vuol dire che vi è stata necessità di contrastare forze importanti che avrebbero potuto creare danni agli organi interni.
Ubi major, minor cessat.
E se questo allungamento mi fa “sbattere in terra”, forse mi sono procurato un danno minore rispetto all’esplosione degli intestini.
Conclusioni: un dissipatore, che chiuso è lungo dai 10 ai 25 cm, aumenta la distanza di caduta di quei centimetri.
Se la caduta è breve, probabilmente non si aprirà; lo farà solo se la caduta è lunga e violenta.
Quindi è un dispositivo SEMPRE UTILE anche quando ho poco spazio libero, basta compensare accorciando il cordino.
Sul fattore di caduta e la forza di arresto, ti consiglio di leggere l’articolo “CORDINI E DISPOSITIVI DI COLLEGAMENTO: COME USARLI”

2 – Il rischio di caduta c’è solo se si lavora sopra i due metri rispetto ad un piano stabile.
QUASI SEMPRE FALSO
Si rischia di cadere potenzialmente da qualsiasi altezza.
I 2 metri rispetto ad un piano stabile sono il limite stabilito per legge oltre il quale il datore di lavoro è obbligato ad adottare sistemi di prevenzione e protezione.
Sotto i 2 metri, il datore di lavoro dovrà comunque valutare i rischi ed operare al meglio per prevenire le cadute e le sue conseguenze.
In alcune aziende il limite adottato è, ad esempio, 1,2 m.
Altre volte ancora meno e può dipendere da dove rischio di cadere: in acqua, dentro un macchinario, nel letame, ecc. ecc.
Ricordiamoci sempre che le conseguenze di una caduta non sono solo quelle date dall’impatto contro un piano stabile.
C’è anche una sentenza che da ragione a questo modo di approcciare il lavoro in altezza e ce ne ha parlato Ezio Granchelli in un articolo su Tech-Zine Magazine che puoi scaricare qui.

3 – La scala con gabbia è sicura.
SI E NO.
Non confondiamo l’essere a norma con l’essere sicura perchè non è detto che ciò che è a norma sia anche “sempre” sicuro.
Le scale con gabbia alla marinara sono un esempio lampante.
Anche quando sono a norma, non sempre impediscono la caduta.
Anzi, ci sono test e studi che dimostrano che la probabilità di arrivare fino a terra è reale.
Più spesso, la caduta all’interno della gabbia provoca danni collaterali al corpo dovuti all’urto contro la gabbia stessa.
Inoltre può complicare notevolmente le operazioni di soccorso e recupero, soprattutto se la vittima è incosciente.
Se vuoi approfondire l’argomento, puoi leggere l’articolo “SCALE CON GABBIA SI O SCALE CON GABBIA NO?”

4 – I tecnici in fune sono acrobatici.
ASSOLUTAMENTE NO!
Per prima cosa, un tecnico che opera in fune (in sospensione) non appartiene ad una categoria di lavoratori a se.
Gli interventi in fune sono un sistema di accesso da usare quando, per la natura del lavoro da svolgere, diventa proibitivo operare con dispositivi di protezione collettiva, PLE o sistemi di ancoraggio anticaduta.
Insomma, una extrema ratio.
Il termi “acrobatico” è stato impiegato da una nota società che, per ragioni di marketing e strategie commerciali, ha ritenuto creare un marchio facilmente riconoscibile e che attirasse l’attenzione sul loro core business.
Quindi, anche questa nota azienda non impiega acrobati ma lavoratori in grado di accedere con funi, in sospensione.
Per approfondire ti consiglio di leggere l’articolo: “LAVORO SU FUNE SPECIALIZZATO: NON ACROBATI MA SERI PROFESSIONISTI”.

5 – Un anticaduta retrattile è il dispositivo più comodo per lavorare in copertura.
DIPENDE.
Un anticaduta retrattile a norma EN 360, lo dice la definizione stessa, è un dispositivo di connessione tra ancoraggio e imbracatura che riavvolge automaticamente il cavo al suo interno.
Ve ne sono di varie tipologie e modelli, con cavi lunghi dai 2 ai 40 metri.
Quando ha 40 m di cavo di acciaio avvolto, pesa tantissimo e qui già vacilla il concetto di comodità.
Inoltre, la maggior parte dei dispositivi in commercio sono certificati per lavorare in verticale, con l’operatore all’interno di “un cono” di circa 30° di inclinazione dal punto di ancoraggio del dispositivo.
Oggi le tecnologie ci sono.
Per lavorare in copertura, ne dovrei avere uno certificato per funzionare in orizzontale.
Ma niente paura, ci sono. Ve ne sono alcuni pensati anche per lavorare in fattore di caduta 2 ovvero ancorati più in basso rispetto all’attacco dell’imbracatura.
La questione fondamentale è che arrestano la caduta e NON LA IMPEDISCONO.
Quindi, un impiego indiscriminato o non attentamente ponderato di un retrattile, per lavorare in copertura o su piani inclinati, può essere pericoloso.
Permettere ad un operatore di cadere, rispetto ad impedirgli di sporgersi bloccandolo prima (come ad esempio si può ottenere con un dispositivo anticaduta guidato che sia anche EN 358) non è la situazione migliore.
Al contrario, su una baia di carico o sopra un macchinario, con ancoraggio sopra la testa, l’anticaduta retrattile è perfetto.
Per approfondire la tua conoscenza degli anticaduta retrattili ti consiglio di leggere l’articolo “ANTICADUTA RETRATTILI: LE 5 COSE DA SAPERE PER SCEGLIERE QUELLI GIUSTI”

6 – Le linee vita, sono i cavi d’acciaio sui tetti.
SI MA SONO MOLTO DI PIÙ
Il termi linea vita identifica il marchio commerciale di un produttore che per primo ha chiamato così i suoi sistemi di ancoraggio anticaduta.
Un po’ come il cemento amianto è comunemente chiamato eternit dal nome dell’azienda che per prima lo ha commercializzato su grande scala in Italia.
Il termine tecnico esatto è “sistemi di ancoraggio anticaduta” e sono composti da più elementi, detti dispositivi di ancoraggio.
Quindi, non solo i cavi di acciaio.
Un sistema anticaduta è composto da più tipologie di dispositivo che la norma EN 795:2012 (UNI 11578:2015 per i sistemi permanenti) definisce TIPI:
- Tipo A: dispositivi di ancoraggio puntuali;
- Tipo B: dispositivi portatili;
- Tipo C: dispositivi lineari a cavo flessibile;
- Tipo D: dispositivi lineari a rotaia rigida;
- Tipo E: dispositivi a zavorra o ancore;
Mixati sapientemente in base ai più accorti principi di ergonomia e sicurezza, compongono un sistema di ancoraggi che, molto comunemente, vengono chiamati “linee vita”.
Per approfondire, sul nostro blog trovi molti articoli sull’argomento.

7 – Sono 30 anni che lavoro in quota senza imbracatura e non mi è mai successo niente.
Le statistiche parlano chiaro.
Il 77% degli infortuni come conseguenza di cadute dall’alto vede coinvolti lavoratori con più di 3 anni di anzianità di mansione.
Il 49% degli infortunati supera i 50 anni di età.
La probabilità di cadere da una postazione di lavoro in quota aumenta con l’aumento dell’esposizione al rischio.
Inoltre, la continua esposizione al pericolo crea una sorta di “antidoto” alla paura di cadere e porta il lavoratore a sottovalutare le conseguenze.
Qualcuno la chiama “assuefazione al rischio”.

8 – Ogni lavoratore può ispezionare i propri DPI da solo.
NO, A MENO CHE…
Quello che un lavoratore può fare da solo, sui propri DPI di III^ categoria, sono le verifiche pre e post uso come previste dal manuale di uso e manutenzione.
Oppure, pratica poco diffusa, può lavarseli da solo e averne cura nell’immagazzinamento.
L’ispezione annuale come da normativa, la deve eseguire persona esperta e competente all’ispezione.
Sui manuali di alcuni produttori vi è chiaramente riportato chi è persona esperta e competente ad ispezionare i DPI della loro gamma.
In genere lo sono coloro che hanno svolto un tot di ore di formazione da ispettori presso il produttore stesso.
Riassumendo, un utilizzatore esperto non è automaticamente un ispettore.
Deve fare un percorso di formazione da ISPETTORE.
Un approfondimento sulle ispezioni, la manutenzione e i controlli pre e post uso, lo trovo nell’articolo “IMBRACATURE IN LAVATRICE: L’IMPORTANZA DELLA PULIZIA DEI DPI DOPO L’UTILIZZO”

9 – Il lavoro in fune è di gran lunga il lavoro più pericoloso.
Un po’ come la storia dell’aeroplano. Se cade un aeroplano, difficilmente i passeggeri si salvano.
Statisticamente, però, gli aeroplani raramente cadono mentre in automobile muoiono, ogni giorno decine di persone solo in Italia.
Da ISTAT, nel 2016 si sono verificati in Italia 175.791 incidenti stradali con lesioni a persone che hanno provocato 3.283 vittime (morti entro il 30° giorno) e 249.175 feriti.
Secondo i dati dell’Easa, ente europeo, nel 2018 ci sono stati undici incidenti in volo (nel mondo) classificati come mortali che hanno così provocato nel complesso 530 vittime.
Ma tornando al nostro ambito di lavoro, gli incidenti e le vittime causate dai pericoli legati al lavoro su fune non sono statisticamente rilevanti, si può dire tendenti allo zero.
Mentre si hanno invece dati dettagliati sulle cadute dall’alto avvenute in altre situazioni.
Come da scheda INAIL INFOR.MO, pubblicata nel 2017 ma relativa ai dati 2009-2010, le cadute dall’alto registrate che hanno causato 160 vittime (il 32% del totale delle vittime sul lavoro in Italia) sono di 6 tipi principali:
- caduta per sfondamento di copertura – 23,2%
- caduta da scala portatile – 17,3%
- caduta da parte fissa di edificio – 12,5%
- caduta da ponteggi e impalcature fisse – 10,1%
- caduta attraverso un varco (lucernario) – 10,1%
- caduta da mezzi di sollevamento o per lavori in quota – 7,8%
Le 6 categorie sopra citate costituiscono il 81% delle casistiche di cadute dall’alto, il restante 19% è causato da altre situazioni che non superano ognuna, il 5-6 %.

10 – In caso di emergenza, basta chiamare il 118.
Ultimo tra i miti e leggende dell’anticaduta, un vero e proprio unicorno, è l’idea che basti chiamare il 118 per provvedere a tutti gli obblighi relativi al soccorso e recupero in caso di emergenza.
E’ la frase che troviamo in fondo a numerosi DVR, standard copia/incolla, con l’intento di lavare via le macchie della coscienza.
A parte il fatto che il 118 è il soccorso sanitario e loro non salgono in quota e non entrano negli spazi confinati; aspettano che qualcuno gli cali il ferito a terra.
Al limite, puoi pensare di chiamare il 115, i VVF, che riescono ad entrare ovunque e a lavorare in altezza… o il 112 laddove è già in funzione il numero unico.
Cambio di paradigma.
Il concetto errato alla base di questa abitudine, senza voler tirare in ballo negligenza, ignoranza e pigrizia di qualcuno, è quello di pensare che le emergenze accadono e non ci si può fare niente, meglio chiamare i soccorsi.
Sul lavoro, la parola emergenza dovrebbe essere limitata solo a casi indipendenti dall’operato umano come terremoti e alluvioni.
Sul lavoro, si devono conoscere pericoli e rischi, si devono adottare procedure atte ad eliminarli e/o ridurli al minimo mediante lo studio di procedure corrette e l’implementazione di contromisure protettive.
Il soccorso e recupero di un infortunato sul lavoro deve far parte delle procedure stesse.
Ogni presidio o attrezzatura atta al soccorso e recupero deve essere presente in azienda e a portata di mano durante tutte le fasi di lavorazione.
Pensare che i VVF e il 118 arrivino sempre in tempo a salvare un ferito, è quantomeno da incoscienti.
Dopodiché, quando ho predisposto tutto, formato e addestrato il personale, posso anche fare la scelta, a seconda della gravità della situazione, se intervenire con il personale interno o se aspettare i soccorsi dei VVF e del 118.

Se, come e quando intervenire è comunque un argomento complesso e lungi da me volerlo liquidare in poche righe.