Gli errori più comuni nella progettazione anticaduta dovuti ad una non completa comprensione dei principi fondamentali… e come evitarli.
Gli errori nella progettazione anticaduta sono molto frequenti.
Spesso sono frutto di ingenuità e poca esperienza.
Cioè della non perfetta conoscenza della materia e dei principi da seguire per una buona sicurezza in quota.
In questo articolo cerchiamo di elencarli, analizzarli e spiegare come evitarli.
Nella nostra attività di specialisti dell’anticaduta e sicurezza spazi confinati, ci capita spesso di intervenire in situazioni in cui DDL, RSPP o progettista, hanno già adottato misure di prevenzione e protezione che presentano errori più o meno gravi.
Questi errori spesso vanificano tutto il duro lavoro fatto nonché gli investimenti in tempo e denaro… che a nessuno piace sprecare.
Purtroppo ci capitano anche delle vere e proprie scorrettezze o inadempienze, generate da una chiara volontà di non investire in sicurezza.
Ma non sono questi i casi di cui vogliamo parlare perché, per le cose fatte in malafede, non ci sono specialisti seri che possano rimediare.
Errori nella progettazione anticaduta e errori di utilizzo.
Gli errori sono di solito di due tipi: quelli fatti in fase di progettazione e realizzazione di un sistema anticaduta e quelli commessi dall’utilizzatore.
I primi, quelli che affronteremo in questo articolo, dipendono di solito dalla poca esperienza.
Capitano spesso a quei progettisti/consulenti (anche su apprestamenti temporanei) che operano sull’esclusiva base della normativa scritta e studiata a tavolino.
Le norme, che è giusto seguire, sono spesso incomplete e prive di “spiegazioni dettagliate” che costringono il progettista ad interpretare.
Ed ecco che la poca esperienza genera inevitabilmente degli errori.
I secondi, di cui parleremo in un prossimo articolo, sono frutto di una formazione incompleta o scarso addestramento.
Oppure lo studente non si è applicato, non ha ascoltato o alla prima occasione ha già dimenticato tutto.
Ma vediamo adesso quali sono i 5 principali errori che si commettono nel pensare e progettare un sistema anticaduta permanente.
1 – Errata scelta della certificazione del parapetto permanente.
Parliamo di parapetti permanenti in ambito lavorativo al servizio di macchinari, andatoie e piani sopraelevati nonché di coperture di stabilimenti industriali.
Il parapetto è quasi sempre la scelta giusta poiché è un dispositivo anticaduta di tipo collettivo, indicato dalle norme come preferibile ad altri sistemi anticaduta.
Ma su come deve essere fatto, ci sono molte indicazioni diverse tra norme cogenti e norme tecniche costruttive.
Ne abbiamo parlato in dettaglio nell’articolo Parapetti a norma NTC 2018 o parapetti a norma UNI 14122-3
Riassumiamo dicendo che per un parapetto permanente ci si può trovare di fronte alla scelta tra un parapetto a norma UNI EN ISO 14122:2016 e uno che risponde ai requisiti del DM 170/01/2018 (NTC 2018)
Anche a occhio, i parapetti a norma EN 14122-3 sono molto più leggeri dei parapetti a norma NTC 2018 e quindi meno costosi.
Ecco perché sono i più venduti e utilizzati sulle coperture dove spesso ne vanno installati decine se non centinaia di metri.
Ma l’uso di un parapetto a norma EN 14122-3:2016 va bene su macchinari, come protezione del lavoratore durante l’uso o la manutenzione di questi.
Quindi, in copertura, i parapetti ad uso anticaduta devono essere a norma NTC 2018.
Il parapetto EN 14122 è ammesso in copertura a patto che sia limitato a proteggere le aree intorno ai macchinari (macchine di impianti) presenti sul tetto o i percorsi per raggiungerli.
Un parapetto a norma NTC deve anche essere verificato strutturalmente.
Ecco perché è meglio affidarsi a degli specialisti in grado di dialogare con i produttori: perché spesso un prodotto standard, con altezza standard e basamento standard, non copre le esigenze tecniche di un particolare edificio o macchinario.
Capita che il tutto debba essere riprogettato e ridimensionato: adattato e verificato sull’opera stessa.

Schema tratto dal manuale dei parapetti di produzione Rego: sintetizza chiaramente i carichi a cui devono essere verificati i parapetti prefabbricati industriali secondo le varie normative.
2 – Uso di scale alla marinara autocostruite… male.
Non c’è nessun male nell’impiegare scale alla marinara, con gabbia e autocostruite, purché siano a norma.
E diamine, non sono ancora riuscito a trovare una scala alla marinara con gabbia, artigianale, che sia stata fatta bene.
Le non conformità più comuni sono:
- quote arbitrarie della partenza della gabbia che deve essere tra i 2,2 e i 2,5 m da terra;
- gabbie fuori norma dimensionale, troppo piccole o troppo grandi e con le “doghe” a maglie troppo larghe;
- mancanza di interpiani di riposo;
- montanti troppo stretti che non permettono nemmeno di tenere due piedi sullo stesso piolo;
- interasse pioli troppo grande che costringe a passi troppo lunghi;
- scarsa distanza dalla parete retrostante che impedisce al piede di appoggiare in maniera sicura;
- pioli troppo piccoli o tondi e lisci che non permettono una presa sicura del piede;
- mancanza di un cancellino di sbarco che impedisca di “cadere” da sopra al tetto.
Il largo impiego di scale con gabbia artigianali è dovuto soprattutto alla facilità di costruzione che spinge carpenterie metalliche e costruttori di macchinari a sfruttare materiali e maestranze già disponibili in casa.
Nell’economia, la tendenza è quella di ridurre tutto fino al punto di arrivare a sbagliare il dimensionamento degli elementi del sistema.
Alcuni errori possono essere rimediati, come spiegato nell’articolo “Adeguamento scala vecchio tipo: 5 esempi di intervento per metterla a norma” e nell’articolo “Antiscivolo pioli scale: adeguare i pioli di vecchie scale industriali”.
Molto spesso è necessaria una sostituzione.
Per la scelta della nuova scala suggerisco anche la lettura dell’articolo: “Scale con gabbia si o scale con gabbia no?”.
Ma ancora più propedeutica sarà la lettura dell’articolo: “Scale di sicurezza: per non cadere, per essere salvati con rapidità”.

3 – Progettazione linea vita flessibile su copertura curva
Vista in pianta, una copertura a botte, cioè curva, sembra una copertura a capanna, cioè a due falde.
Peccato che la pendenza aumenta nell’avvicinarsi alle gronde.
Spesso fino all’impossibilità di rimanere in piedi, cioè oltre i 30° di pendenza.
L’errore più comune nella progettazione è quello di prevedere una linea vita a cavo flessibile sul colmo.
Quello che succede è che un operatore, connesso alla linea vita con fune semistatica e anticaduta guidato, all’aumentare della pendenza tenderà a scivolare e a “tenersi” alla fune.
Questo mette in tensione e fa flettere il cavo della linea vita.
Quando va bene, si crea “solo” una bella freccia.
Se va male, i dispositivi della linea vita si deformano e diventano inservibili e pericolosi.
La risultante comune è che la somma della lunghezza della fune semistatica con la freccia diventa maggiore dello sviluppo della falda cioè della sua lunghezza.
Più mi avvicino alla gronda, più posso scivolare e niente mi impedirà di cadere oltre e rimanere appeso nel vuoto.
Peggio ancora con un retrattile: se scivolo, la velocità aumenta progressivamente ed è facile che il dispositivo blocker non entri in funzione… per niente.
Quali sistemi di ancoraggio anticaduta sarebbe meglio utilizzare?
Come prima cosa sarebbe bene utilizzare un sistema rigido fatto di punti fissi ma ancora meglio una rotaia UNI 11578 (o EN 795) Tipo D verificata anche per il lavoro in sospensione.
L’accesso in parti di copertura con alta pendenza (dove non si riesce a rimanere in piedi) dovrà essere fatta mediante l’uso di una seconda fune e discensore.
E’ a tutti gli effetti “accesso e posizionamento su fune” con tutto quello che ne consegue.
Per evitare questo, le porzioni ad alta pendenza vanno interdette da un uso con la linea vita: vi si accederà solo con ponteggi, passatoie o PLE.

4 – Errori nella progettazione anticaduta in arresto caduta invece che a caduta impedita.
L’errore di cui al precedente punto è spesso collegato ad un altro errore comune: quello di pensare che una linea vita debba arrestare la caduta di un operatore.
Ovvio che la deve arrestare, in caso di caduta!
Non solo, deve resistere al massimo sforzo possibile cioè la caduta in contemporanea di tutti gli operatori in quota moltiplicato per un certo fattore di sicurezza.
Ma se il lavoratore arriva a cadere, spesso vi è stato un errore di progettazione.
Una caduta, anche se arrestata da una linea vita, non è mai una bella cosa.
Un lavoratore che cade è esposto a numerosi ulteriori pericoli e rischi con centinaia di variabili imprevedibili.
Si è poi costretti ad intervenire con altrettanto rischiose manovre di soccorso e recupero, con i minuti contati prima che il ferito vada in sindrome da sospensione inerte.
Insomma, uno scenario da evitare.
Un sistema di ancoraggio anticaduta ben progettato (linea vita + cordini + DPI) deve innanzitutto fare in modo che il lavoratore “si fermi” prima che arrivi a sporgersi e cada.
Quindi prima che arrivi a meno di 60 cm dal bordo di caduta.
Se sommo i 60 cm ai 2 metri max di un cordino e tengo conto dell’altezza dell’operatore, l’ancoraggio deve essere ad almeno 2,2 / 2,5 mt dal bordo.
Quando viene fatto di solito questo errore?
- Quando per esempio non si hanno strutture resistenti cui fissare un ancoraggio a più di 2,20 mt dal bordo;
- Oppure quando una copertura è “ricoperta” di pannelli fotovoltaici e non si lascia lo spazio per un gancio o un cavo;
- O ancora perché costa meno fissare una linea vita ad una veletta perimetrale di un capannone invece che stare indietro di un paio di metri andando a cercare una solida struttura di ancoraggio per poi dovere impermeabilizzare ad arte il manto;
Non è un errore se – come spesso avviene su macchinari e passaggi stretti – è impossibile progettare a caduta impedita.
In questo caso è meglio una caduta arrestata che “non impedita e non arrestata per niente”; speriamo almeno sia a fattore caduta zero.
Se volete approfondire come si progetta una linea vita e i fattori di caduta, vi consiglio gli articoli “L’ABCD dell’anticaduta” e “Cordini e dispositivi di collegamento: come usarli”.

5 – Nessuna messa in sicurezza dei passaggi sopra i lucernari.
Visto centinaia di volte: una bella copertura di un capannone industriale con tutti i parapetti o le linee vita e file e file di lucernari in materiale traslucido a “filo manto” con sotto installate le reti anticaduta.
Di reti anticaduta a protezione lucernari ne abbiamo parlato nell’articolo “Lucernari ed EFC: 4 sistemi per metterli in sicurezza contro le cadute”.
Ma il traslucido del lucernario rimane in sé per sé una porzione di copertura NON PEDONABILE e la rete anticaduta serve ad arrestare una caduta.
Torna buono il discorso fatto al punto (4) di questo articolo.
Il problema viene fuori quando devo scavalcare il lucernario che può essere di 80 cm ma anche di 1 o 2 metri di larghezza.
Cosa dovrebbe fare il lavoratore?
Spesso deve fare un salto… se vede il lucernario.
Se non lo vede (ad esempio in caso di sporcizia depositata sul manto) può finire che ci mette un piede sopra e lo sfonda.
Anche se non cade a terra, si trova sdraiato fino ad un metro più in basso con tutto quello che ne consegue.
Come rimediare a questo tipo di errori nella progettazione anticaduta lucernari?
Per fortuna ci sono numerose soluzioni ma attenzione a quelle a buon mercato.
Tra i coperturisti, più avvezzi all’uso di lamiere che a veri e propri presidi anticaduta, va di moda installare delle lastre di lamiera a spessore maggiorato alternate ogni certo numero di lastre di traslucido per creare un passaggio calpestatile.
Questo viene bene soprattutto se il lucernario è trasversale alla pendenza delle acque del tetto.
Se sono bravi, usano lastre di colore diverso, magari rosse su manto bianco.
Se sono cialtroni, usano le stesse lastre di copertura raddoppiate, o meglio accoppiate, con il rischio di innescare, tra lastra e lastra, un principio di corrosione anaerobica (corrosione che si innesca quando tra due lamiere si ferma umidità in assenza di aria).
Ma questa soluzione “ a buon mercato” non protegge dalla caduta laterale e soprattutto non fornisce un passaggio stabile.
Il consiglio da specialisti è quello, innanzitutto, di segnalare i lucernari con appositi segnali alta visibilità.
Contemporaneamente utilizzare delle passatoie, progettate e certificate, con parapetti laterali.
Se ci sono linea vita e reti anticaduta, allora siamo sufficientemente sicuri anche senza parapetti.
Ma non possiamo esimerci dal fornire un passaggio ben visibile, stabile e antiscivolo.
Oppure utilizzare le reti anticaduta pedonabili come le DELTA X-SAFE progettate e distribuite dal nostro specialista Giovanbattista Faena.

Il metodo più sicuro per evitare i principali errori nella progettazione anticaduta.
Come in premessa, non è sufficiente conoscere tutta la normativa sulla progettazione anticaduta.
E’ necessario anche approfondire altri aspetti come:
- frequenza d’uso del sistema anticaduta e esperienza del personale formato al suo impiego;
- esperienza con le caratteristiche tecniche specifiche dei dispositivi e le loro peculiarità di installazione e uso;
- conoscenza delle tecniche e degli strumenti necessari per i fissaggi strutturali (fastening) nonché di tutte le opere accessorie;
- capacità di calcolo strutturale in ambito specifico anticaduta;
In poche parole, è necessaria tanta esperienza sul campo o, più semplicemente, l’avvalersi di specialisti in anticaduta in grado di trovare le soluzioni senza commettere gravi errori nella progettazione anticaduta.