Come scegliere correttamente tra le varie opzioni tecniche per proteggere i manutentori e anche la vita degli impianti.
I tetti fotovoltaici nel 2023 torneranno ad essere uno dei migliori investimenti per contrastare la crisi energetica e l’aumento dei costi in bolletta. Gli impianti fotovoltaici su tetto costituiranno un investimento importante in grado di garantire ritorni economici e non solo.
Saranno anche un miglioramento all’immagine aziendale in un mercato sempre più attento a premiare chi sfrutta fonti rinnovabili. Faranno aumentare di valore l’immobile.
Per questi ed altri motivi, il tetto fotovoltaico, retrofit o fotovoltaico integrato, è un tipo di investimento da progettare con cura ma soprattutto da proteggere e mantenere nel tempo.
Sarà perciò importante non solo ottenere il massimo in termini di produzione ma anche fare in modo che le manutenzione siano ridotte al minimo e che possano essere fatte tempestivamente e con la massima sicurezza per i manutentori.
Ritardi o peggio, incidenti, possono trasformare un investimento promettente in un disastro, in termini sociali ed economici.
Con questo primo articolo su fotovoltaico e sistemi anticaduta, vorremmo dare le corrette indicazioni per garantire massima sicurezza contro le cadute dall’alto per chi li installa e li manutenziona.
Possibilmente incidendo il meno possibile sulla produzione fotovoltaica e su altri elementi architettonici funzionali come manti di copertura e lucernari.

Gerarchia dei sistemi anticaduta secondo OSHA
I Principi generali dell’anticaduta applicabili ai tetti fotovoltaici.
Prima di parlare di anticaduta per tetti fotovoltaici, siano questi con pannelli fotovoltaici integrati o no (tetti fotovoltaici integrati) è bene fare mente locale su cosa vuol dire anticaduta e a quali principi generali bisognerebbe attenersi.
Come già ampiamente spiegato nell’articolo ABCD dell’anticaduta, un sistema di prevenzione e protezione contro le cadute dall’alto, che sia su un impianto fotovoltaico o in una qualsiasi altra attività lavorativa umana, deve rispettare una precisa gerarchia:
- eliminazione dei rischi eliminabili;
- riduzione dei rischi residui;
- protezione dai pericoli di caduta residui con sistemi collettivi;
- dove non utilizzabili i collettivi, adozione di sistemi di ancoraggio e dpi, compresa formazione e addestramento;
- il lavoratore deve essere sicuro fin da terra.
Questa gerarchia è dettata dalla maggior parte delle normative vigenti ma anche e soprattutto dalle leggi naturali e dal buon senso.
In ultimo, per dovere di cronaca, alcune indicazioni OSHA, danno come opzione “le misure di tipo amministrativo” ovvero il divieto con precise regole e segnaletiche (transenne o cordoncini) di accedere alle aree a rischio caduta in copertura, chiedendo al lavoratore di rimanere entro i 2/ 2,5 mt dal bordo di caduta.
Precauzione che lascia il tempo che trova e di cui non vi è traccia specifica sul D.Lgs 81/2008 se escludiamo tutto ciò che richiede una completa assunzione di responsabilità a seguito di valutazione dei rischi.

Esempi di eliminazione e dei rischi applicabili ai tetti fotovoltaici
L’eliminazione e riduzione dei rischi è uno dei principi generali per la sicurezza dei lavoratori, come anche ribadito dal D.Lgs 81/2008, Articolo 15 (Misure generali di tutela), comma 1, lettera c:
“l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico”;
Nel caso di installazione di impianti fotovoltaici in copertura, non potendo abbassare il tetto, l’eliminazione dei rischi o la riduzione di questi consiste nell’applicare tutti i miglioramenti possibili all’organizzazione del lavoro.
Miglioramenti e investimenti in mezzi atti a ridurre il numero di accessi in quota e la quantità di tempo che si passa in quota, cioè esposti al rischio di caduta.
Si possono ad esempio implementare mezzi di sollevamento di come gru e castelli di tiro ad alta capacità che permettano un minor numero di sollevamenti; per evitare di tirare su un pannello o una barra alla volta.
Oppure si può preferire l’uso di gru a sbraccio lungo che permettano di raggiungere ogni punto della copertura così da evitare o limitare gli spostamenti in quota, ad esempio a mano, dal punto di sbarco.
Se parliamo di controlli e manutenzione, un metodo efficace è l’implementazione di sistemi di telecontrollo.
Fino all’utilizzo di droni o robot che vadano in quota al posto dell’operatore. Ad esempio, ci sono droni con telecamere che riescono a rilevare gli hotspot e ci sono robot che lavano i pannelli e possono essere radiocomandati da terra.
Priorità ai sistemi di protezione collettiva a protezione tetti fotovoltaici.
Eliminati o ridotti al massimi gli accessi in quota con esposizione al pericolo di caduta dall’alto, i rischi rimasti devono essere mitigati per mezzo di DPC, Dispositivi di Protezione Collettiva.
Essi hanno sempre la precedenza rispetto ai DPI tranne nei casi in cui, dopo attenta valutazione dei rischi, si ritenga che questi siano meno sicuri dei DPI.
Tale principio lo ritroviamo in più punti del D.Lgs 81/2008:
Articolo 75 – obblighi d’uso dei DPI
“I DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro”.
Articolo 111 – Obblighi del datore di lavoro nell’uso di attrezzature per lavori in quota
“comma 1. Il datore di lavoro, [… sceglie le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti criteri:
- priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale”;
“comma 6. Il datore di lavoro nel caso in cui l’esecuzione di un lavoro di natura particolare richiede l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, adotta misure di sicurezza equivalenti ed efficaci. Il lavoro è eseguito previa adozione di tali misure. […] dispositivi di protezione collettiva contro le cadute devono essere ripristinati.”
Articolo 148 – Lavori speciali
- “Prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, fermo restando l’obbligo di predisporre misure di protezione collettiva, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego.”
- “Nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo, a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta.”
Tra i sistemi di protezione anticaduta collettiva, i più comunemente impiegati sulle coperture con impianti fotovoltaici sono:
- ponteggi e impalcature come opere provvisionali;
- i parapetti, a protezione dei bordi e dei vuoti tecnici interni o delle vetrate verticali (vedi articolo sugli shed);
- le reti anticaduta a protezione dei lucernari, aperture orizzontali in genere o delle finestrature degli shed (su questi, sostituibili con un parapetto);
- passerelle, scavalchi e andatoie a protezione dei percorsi di passaggio;
- gabbie guardacorpo per scale alla marinara;
- grigliati strutturali a protezione di EFC, lucernari e vuoti tecnici.
Ai sistemi di protezione collettiva per impianti fotovoltaici dedicheremo, nei prossimi giorni un articolo specifico.

Sistemi di ancoraggio e impiego di DPI sui tetti fotovoltaici
Se non sussistono le condizioni tecniche per i DPC, e dopo un’attenta Valutazione dei Rischi, è possibile installare un sistema di ancoraggi anticaduta da utilizzare con appropriati DPI.
In gergo questi sistemi vengono chiamati linee vita: con il termine linea vita intendiamo l’insieme di ancoraggio e DPI progettati ad hoc per una copertura o postazione di lavoro in quota che espone i lavoratori al rischio di caduta dall’alto.
Anche qui seguiremo una scala gerarchica che prevede di preferire sistemi in trattenuta o a caduta impedita. Ovvero progettare un impianto di ancoraggi posizionati in maniera strategica i quali, abbinati a cordini di lunghezza fissa o regolabile, impediscano al lavoratore di raggiungere il bordo e cadere.
Se questo non è possibile, si può installare un sistema ad arresto caduta: non impedisce la caduta ma ne limita gli effetti impedendo al lavoratore di impattare sul piano stabile sottostante.
Una caduta arrestata è sempre un evento molto più traumatico rispetto all’evitare la caduta. Ci costringe a prendere precauzioni su altri fattori quali:
- sistema di assorbimento della caduta onde limitare la forza shock;
- verifica tirante d’aria libero che è la distanza verticale minima necessaria ad evitare al lavoratore l’impatto al suolo;
- verifica di assenza effetto pendolo e di altri di impatti laterali in caso di caduta
- una procedura di salvataggio onde scongiurare la sindrome da sospensione inerte ( e quindi un kit e una procedura di evacuazione).
Il recente aggiornamento alla normativa tecnica UNI EN 11560:2021 specifica bene quali sono i passaggi nella scelta di un sistema corretto. Tra questi, la novità è la chiarezza con cui rafforza la necessità di una valutazione dei rischi. Specifica anche e chi sono e che qualifiche devono avere i responsabili dei vari passaggi tra cui progettazione, installazione, ispezione e manutenzione di un sistema di ancoraggi anticaduta.

L’accesso al tetto fotovoltaico.
Nello scegliere il sistema di protezione contro le cadute dall’alto più adatto alle esigenze di un tetto fotovoltaico, bisogna sempre ricordarsi che i manutentori devono essere in sicurezza per tutto il percorso di accesso per raggiungerlo.
Nello specifico di un impianto fotovoltaico, bisogna tenere conto che un manutentore possa aver bisogno di accedere con diversi tipi di strumenti e materiali:
- piccole o medie attrezzature per riparazioni elettriche o al manto di copertura;
- necessità di sostituzione di uno o più moduli e/o inverter;
- attrezzature per la pulizia dei pannelli compresi i contenitori per acqua e detergenti;
Non ultimo, i lavoratori sull’impianto fotovoltaico possono avere la necessità di dover evacuare velocemente, in prima persona o un ferito.
Per questi motivi ricordiamo che, anche nella scelta del sistema di accesso vi è una gerarchia qui riassunta:
- una scala a gradini con corrimano laterali è preferibile ad una scala verticale alla marinara in quanto consente il trasporto di materiali più o meno ingombranti, anche moduli fotovoltaici o piccoli inverters, e non obbliga a tenere tutte e due le mani libere per la salita; su questo tipo di scala è possibile trasportare feriti in barella.
- in caso di scala verticale, una scala alla marinara con gabbia guardacorpo è considerata protetta da dispositivo di protezione collettiva ma nella realtà comporta rischi residui e non consente il trasporto di cassette degli attrezzi per motivi di ingombro, nemmeno se in uno zaino o assicurate alla cintura; abbiamo spiegato bene pro e contro di una scala a gabbia in numerosi articoli tra cui: Scale con gabbia si o scale con gabbia no?;
- una scala verticale di sicurezza, detta anche scala anticaduta, risolvere molti dei problemi imputabili alla gabbia guardacorpo e allo spazio ristretto al suo interno: la caduta è sempre limitata e arrestata, un soccorso è più semplice, si possono trasportare attrezzi; è però un sistema che richiede l’uso combinato di DPI anticaduta e addestramento da parte del datore di lavoro (Art. 77 D.lgs 81/2008).
- una scala portatile è il sistema meno sicuro perché implica una formazione all’uso scale portatili importante oltre che la predisposizione di apprestamenti aggiuntivi al punto di sbarco in quota; oppure l’uso di speciali scale anticaduta come la BRANACH Euro Fall Control System;

Altri sistemi di accesso in quota per la manutenzione dei tetti fotovoltaici.
Accesso e posizionamento mediante funi su tetti e facciate fotovoltaiche.
Quando l’impianto fotovoltaico ha un’inclinazione tale da non consentire all’operatore di rimanere autonomamente in piedi e quando ogni altro mezzo di accesso più sicuro è tecnicamente da escludere, per interventi di breve durata e con carattere di emergenza si può accedere all’impianto mediante l’utilizzo di funi.
Ad esempio, per muoversi su tetti fotovoltaici che sono su:
- pareti;
- piani inclinati di pendenza superiore il 50% (o anche inferiore, se il manto no ha abbastanza grip);
- parti curve di coperture a botte la cui condizione è come al punto 2.
Il lavoro su fune prevede, per ogni operatore, almeno 2 ancoraggi specifici, uno per la fune di lavoro, uno per la fune di sicurezza. In più va prevista almeno una terza fune di emergenza per permettere all’operatore di essere raggiunto da un soccorritore addestrato..
Tali ancoraggi possono essere predisposti a monte dell’impianto fotovoltaico.
Si può ad esempio installare una linea vita di tipo rigido (Binario Tipo D per accesso in fune) o una serie di ancoraggi indeformabili adatti al lavoro in sospensione (D.Lgs 81/2008 Art. 116 – Obblighi dei datori di lavoro concernenti l’impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi).
Gli operatori devono essere formati e addestrati all’accesso e posizionamento in fune secondo Modulo A (strutture artificiali e naturali) dell’allegato XXI.
Uso della PLE come sistema di accesso e sbarco in quota.
L’argomento è controverso. Anzi no, è semplicissimo: la Piattaforma di Lavoro Elevabile è un’attrezzatura di sollevamento molto sicura (e preferibile a scale portatili o trabattelli) finché utilizzata come prescrive il costruttore sul manuale d’utilizzo. Ogni altro uso non è sicuro.
Il costruttore prevede una modalità per lo sbarco in quota? Allora la si può usare per sbarcare secondo tali modalità. Altrimenti no.
Se però ci vogliamo muovere oltre quelli che sono i limiti per cui l’attrezzatura è stata pensata, con importanti assunzioni di responsabilità da parte del datore di lavoro e del committente (e del coordinatore della sicurezza se c’é), possiamo dire che, rispettando certe condizioni fisiche e geometriche con l’aggiunta di misure di sicurezza accessorie e ridondanti, lo sbarco da PLE può essere preso in considerazione.
A monte di tutto ciò, ci deve essere l’assoluta certezza che non sono possibili altre soluzioni o che queste comportino rischi maggiori per i lavoratori.
Tutto deve essere procedurizzato.
ATTENZIONE! C’è inoltre da risolvere il problema dell’andare contro il manuale del costruttore e quindi oltre quelle che sono le sue responsabilità. Per non parlare del fatto che se si usa una PLE per sbarcare PERCHE’ NON C’È ALTRO MEZZO PIÙ SICURO, bisogna prevedere anche una PLE DA SBARCO per un eventuale procedura di soccorso ed evacuazione.
Diciamocela tutta, salvo rarissimi casi, è difficile che esistano situazioni che non si possono risolvere con altri sistemi di accesso.
Prendete con le pinze questo ultimo paragrafo, che sia solo uno spunto di riflessione.
Consigliamo inoltre la lettura del documento IPAF, relativo agli sbarchi in quota, associazione certamente più qualificata per parlare di PLE.
Considerazioni molto precise sulle problematiche in esame. Complimenti!