Breve guida all’acquisto dei dispositivi per soccorrere e salvare i lavoratori rimasti appesi ad un ancoraggio dopo una caduta.
Ogni lavoro che prevede l’uso di un sistema di ancoraggio anticaduta dovrebbe prevedere una procedura di soccorso e recupero e il suo relativo kit di soccorso.
Fa parte dell’ABCD dell’anticaduta.
Soprattutto se il ferito si trova appeso e rischia gli effetti della sindrome da sospensione inerte (suspension trauma o sindrome da imbracatura).
Questo articolo parlerà limitatamente di attrezzature e di manovre base per salvare chi, in seguito ad una caduta, è rimasto appeso col suo cordino ad un ancoraggio e va calato a terra, al netto di traumi più o meno gravi.
PS: anche nel caso di un sistema progettato a caduta totalmente impedita, si pone sempre il problema di come “portare giù dalla postazione di lavoro” un operatore non in grado di scendere con le proprie gambe… ma questa è un’altra storia e riguarda più la scelta della tipologia di scale, barelle, estricatori e altri presidi di immobilizzazione e discesa.
Premessa fondamentale e doverosa sui kit di soccorso.
I kit che illustreremo in questo articolo, sono componibili con la maggior parte dei DPI disponibili in commercio purché rispettino le specifiche norme tecniche di costruzione e se ne verifichi sul manuale la compatibilità con gli altri DPI.
E in ogni caso che siano utilizzi previsti dal costruttore e indicati sul manuale.
Non sono né gli unici possibili né gli unici ammissibili.
Sono solo alcuni di quelli che noi specialisti IN-SAFETY® consigliamo in quanto testati e provati in prima persona, consapevoli del fatto che ci sono anche altri produttori che hanno costruito dispositivi ad specifici, magari unici nel loro genere.
Così come ci possono essere altri tecnici del soccorso che possono aver testato kit diversi ma ugualmente efficienti se non migliori.

Corrado mosca mostra un kit di soccorso e recupero secondo le sue specifiche attività di lavoro – immagini riprese durante un meeting di formazione per specialisti IN-SAFETY®
Il kit di soccorso si compone in base al lavoro che fai.
Le situazioni da cui tirar fuori d’impaccio lavoratori rimasti appesi ai propri sistemi anticaduta sono moltissime e tutte diverse tra loro:
- ferito raggiungibile solo dall’alto o solo dal basso;
- recuperabile calandolo verso il basso o solo tirandolo su verso l’alto;
- con la verticale libera o con ostacoli da superare;
- dentro scale con gabbia, su scale anticaduta o su tralicci;
- in linea con un ancoraggio solido oppure no;
E mille altre opzioni e varianti.
E’ impossibile, per una squadra di lavoro di una piccola e media impresa, pensare di avere sia le attrezzature che la preparazione per intervenire in ogni situazione possibile.
Questa è più una peculiarità delle squadre di soccorso tecnico dei VVF e di altri enti di soccorso, nonché dei soccorritori industriali.
Nell’ambito di un lavoro specifico, è però possibile identificare le dinamiche più probabili ed attrezzarsi per quelle.
Anzi, si DEVE fare.
Ad esempio, la più frequente e ricorrente è quella in cui devo:
- raggiungere il ferito (il pericolante, l’infortunato, il caduto, l’operatore appeso, lo chiamerò in molti modi);
- installare il kit a monte e collegarlo al pericolante;
- svincolare quest’ultimo dal sistema anticaduta senza creare effetti fionda;
- calarlo fino a terra per metterlo a disposizione del soccorso sanitario.

Datemi un punto di ancoraggio, il kit di soccorso e vi salverò il caduto (semi cit.)
Gli elementi di un kit di soccorso e recupero per calare il ferito verso il basso hanno innanzitutto bisogno di un punto di ancoraggio a monte del sistema, meglio se diverso e indipendente da quello su cui l’operatore è caduto.
Non sia mai che abbia subito uno stress tale da celare un possibile cedimento in fase di soccorso, eventualità molto probabile.
Se non ci sono ancoraggi alternativi preinstallati appositamente a scopo soccorso, e siamo costretti ad utilizzare l’ancoraggio “usato”, che almeno sia una eventualità prevista dal costruttore (vedi articolo sul blog) .
E’ fondamentale accertarsene PRIMA che succeda qualcosa; anzi prima ancora di iniziare il lavoro in modo da prevedere una soluzione alternativa ed attrezzarsi in anticipo.
Non esiste andare a scartabellare il manuale solo dopo incidente avvenuto, mentre il collega è lì a penzoloni che aspetta.

L’ancoraggio per il kit di soccorso deve essere in verticale con l’infortunato.
Se l’operatore è caduto su un ancoraggio puntuale o appeso ad un traliccio (o anche ad una scala), sarà abbastanza probabile vi sia un punto di ancoraggio sulla verticale. O anche un elemento strutturale.
Fondamentale quindi che il kit sia munito di almeno una fettuccia di ancoraggio con relativo connettore.
Se l’operatore è caduto appeso ad una linea vita a cavo flessibile (Tipo C), dopo la caduta, l’infortunato tenderà a scivolare verso il punto intermedio tra due pali o piastre consecutive, dove la freccia del cavo è massima.
Quindi nel punto più lontano possibile da uno dei pali/piastre.
Se la linea a cavo non è di quelle testate anche per le manovre di soccorso post attivazione, allora sarà necessario includere nel kit una linea vita temporanea o un cordino regolabile (con relative fettucce di ancoraggio) di lunghezza tale da permettermi di riportare il kit in linea col pericolante.
Se anche i pali e piastre sono di tipo deformabile e non utilizzabili per un soccorso, diventa un bel problema: si risolve solo con una predisposizione preventiva ad hoc.
Sollevare e togliere tensione.
Un infortunato appeso genera tensione in tutto il sistema: imbracatura, cordino e ancoraggio.
Ogni elemento del sistema ha una sua elasticità e un cedimento improvviso potrebbe creare un effetto fionda peggiorando le condizioni del pericolante e mettendo a rischio anche il soccorritore e tutta l’operazione di soccorso.
Per questo il kit di soccorso deve prevedere un elemento per sollevare l’operatore caduto in modo da togliere tensione al cordino.
Si solleva il ferito per mezzo di un paranco di soccorso, in genere con rapporto di forza di almeno 1:4.
Il paranco di soccorso è collegato alla fettuccia di ancoraggio di cui sopra.
Dopo il sollevamento, il cordino del ferito perde tensione e si può sganciare dall’ancoraggio.
Meglio sempre sganciare che tagliare.
Si ricorre al taglio del cordino solo nel caso in cui i connettori siano deformati e bloccati.
Se taglio deve essere, meglio usare una tronchese o una forbice specifica perché un coltello a lama libera potrebbe scattare e tagliare anche le corde che non devono essere tagliate… o ferire qualcuno.

Ti prendo e ti porto giù…col discensore.
Una volta sollevato il ferito e svincolato dall’ancoraggio, c’è da calarlo a terra nella maniera più dolce possibile.
Per farlo si usa il discensore munito di una fune sufficientemente lunga da arrivare fino a terra.
Si attacca proprio al paranco tramite un connettore.
In parole povere, il paranco non solleva direttamente l’imbracatura del ferito ma solleva la fune collegata al discensore di evacuazione.
Sganciato il pericolante, si agisce sulla leva del discensore, per calarlo a terra.

Assistenza da terra tramite fune di controvento compresa nel kit di soccorso.
La discesa del ferito può essere controllata da un secondo soccorritore a terra, mediante una fune ausiliaria di controvento.
Soprattutto quando le altezze sono importanti e le operazioni potrebbero essere disturbate dal vento.
In situazioni particolari, con tralicci inclinati, la fune di controvento deve diventare una vera e propria teleferica di guida del ferito, compresa una carrucola se necessaria.
Come si raggiunge l’operatore sospeso da soccorrere.
Su scala o traliccio, in genere si raggiunge arrivando da sotto o da sopra.
Utilizzando i dpi anticaduta come ad esempio il cordino a Y e rimanendo sempre in sicurezza.
In ogni caso è necessario ancorare il kit sopra la persona da salvare, ad una distanza sufficiente per azionare il paranco (almeno 1/1,5 metri).
È buona prassi per il soccorritore, aiutarsi con un cordino di posizionamento per raggiungere un equilibrio stabile mantenendo le mani libere.
Si lascia la sacca porta kit attaccata alla struttura mediante un connettore, si tira fuori la fettuccia di ancoraggio e si fissa alla struttura del traliccio o della scala.
Nell’altro capo del paranco vi è la fune col discensore, quest’ultimo già in posizione di blocco, per sicurezza.
Dobbiamo anche essere sicuri che la fune sia abbastanza lunga, da una parte (capo corto), per arrivare all’attacco dell’imbracatura mentre dall’altra parte (capo lungo) per arrivare col ferito fino a terra.
Si aggancia il capo corto della fune all’attacco dell’imbracatura e si annulla eventuale fune in eccesso tirandola in direzione del discensore cioè tirando il capo lungo.
Su copertura con gronda o su ponteggio a sbalzo, con il caduto non raggiungibile dal basso, è molto probabile che l’operatore da soccorrere sia così in basso da non poterlo raggiungere allungando semplicemente un braccio.

In questo caso, si raggiunge l’attacco dell’imbracatura dall’alto mediante rescue pole, una specifica pertica da soccorso.
Con gronda o bordo sporgente, è utile utilizzare anche una rulliera passacorda, altro accessorio utile per evitare che la corda sfreghi sugli spigoli vivi o sulle tegole scheggiate e taglienti.
Si aziona il paranco e si solleva il ferito fino a togliere tensione al cordino per sganciarlo (o tagliarlo) in sicurezza, senza effetto fionda.
Non resta che azionare la leva del discensore (rimandando il capo lungo della fune su un connettore per un maggiore controllo), per calare lentamente e delicatamente il ferito.
Seguono le operazioni ausiliarie e le precauzioni da primo soccorso per portare il ferito a terra in tutta sicurezza evitando di peggiorare le condizioni di eventuali traumi.
Con il ferito in posizione sicura e nelle mani del Servizio sanitario, si recupera il kit.
I kit di soccorso base vanno quindi integrati e completati.
Abbiamo appena visto che in un kit di soccorso e recupero base, oltre al paranco e al discensore con fune, sono spesso necessari altri dispositivi accessori.
Dpi personali del soccorritore:
- imbracatura da soccorso o con cintura e cordino di posizionamento;
- cordino a Y o altro DPI anticaduta atto a raggiungere la persona da soccorrere in tutta sicurezza;
Accessori ausiliari per l’ancoraggio del kit di soccorso:
- una o due fettucce di ancoraggio con relativi connettori, meglio se con chiusura a vite (EN 795/B);
- cordino regolabile multi uso (EN 358 + EN 795/B-C) o linea vita temporanea (EN 795/C) per ricreare gli ancoraggi dove non utilizzabili quelli esistenti o a cavo flessibile.
Altri accessori ausiliari:
- tronchesina per taglio cordino;
- rulliera passacorda per protezione degli spigoli vivi;
- rescue pole / pertica di soccorso;
- sacca porta kit con connettore per assicurazione a struttura;
- fune di controvento con connettore;
- fune per teleferica con carrucola e connettori;
- connettore di rinvio per controllo sul discensore;

Varianti automatiche al kit di soccorso e recupero base.
L’abbinamento base, composto da paranco e fune con discensore, può essere sostituito da un dispositivo discensore automatico a norma EN 341.
Di quelli con il volantino di recupero.
E’ un dispositivo all-in-one.
Il volantino permette di recuperare verso l’alto la fune quanto basta per togliere tensione al cordino del caduto e svincolarlo.
I freni al suo interno permettono di gestire la calata in sicurezza, anche automaticamente.
All’occorrenza, funziona anche da dispositivo di autoevacuazione ovvero per abbandonare una postazione di lavoro quando non si possono utilizzare le scale.

I modelli più conosciuto e attualmente disponibili sul mercato sono:
- il DeRope di Tractel;
- il Milan di Skylotec;
- il Mark Robin Hub di Mark Save A Life (distribuito da vari marchi come Kratos);
Sono soluzioni in genere un po’ più costose ma molto più semplici da gestire poiché tutto in un solo strumento compatto, munito di meccanismi automatici a prova di errore.
Inoltre sono ”chiusi” nel senso che si comprano già con la fune inserita dal produttore, della misura voluta, ma non sostituibile o rimovibile dall’operatore.
Non dimentichiamoci sempre e comunque di verificarne limiti e condizioni d’uso sul manuale del produttore.

L’importanza della pianificazione e dell’addestramento nell’utilizzo del kit di soccorso e recupero.
Che si utilizzi un kit composto da DPI tecnici oppure che si utilizzino dispositivi automatici progettati per quel solo scopo, se non ci si prepara e addestra ai vari scenari prevedibili, si rischia di fare gravi errori e non riportare a casa un collega.
La non abitudine a gestire certi dpi, il non sapere dove ancorarsi per non averlo previsto o, peggio, ritrovarsi al momento dell’emergenza con un kit in disordine o danneggiato da un utilizzo precedente, annulla probabilmente ogni buon proposito.
Anzi, molto facilmente andrà a peggiorare una situazione già complicata mettendo a rischio non solo l’incolumità della persona da soccorrere ma anche quelle dei soccorritori.
Senza parlare delle responsabilità che cadranno addosso al datore di lavoro, al responsabile della sicurezza e ai preposti.
E no, la legge non ammette il “meglio non fare che sbagliare”: il piano di salvataggio e evacuazione DEVE essere fatto, la squadra DEVE essere addestrata, l’attrezzatura di soccorso ci DEVE essere e DEVE essere adeguata al lavoro svolto.