Gli specialisti spiegano quale elmetto protettivo, o casco, scegliere e quale preferiscono perché, come le scarpe, la scelta è spesso molto personale.
L’elmetto protettivo o casco, per chi lavora in quota, è un DPI che viene indossato all’inizio della giornata lavorativa e tolto solo alla fine, un po’ come le scarpe.
Per questo, scegliere bene il proprio elmetto protettivo potrebbe non essere così facile.
La scelta dipende spesso da fattori tecnici ma più spesso da fattori molto personali.
In questo articolo cercheremo di raccontare:
- le basi normative sull’uso dell’elmetto protettivo;
- come scegliere quello che fa per te;
- quali sono le conseguenze fisiche e legali per una scelta inadeguata;
- i modelli che consigliano gli specialisti abituati a tenerlo in testa tutto il giorno.
Infine, come chicca, verità, miti e leggende sulla personalizzazione con colori, adesivi e pennarelli.
Prima di proseguire la lettura del presente articolo, ti consiglio di scaricare l’INFOGRAFICA GRATUITA che può aiutarti ad orientarti con le marche e i modelli di cui parleremo.
Le basi normative
L’elmetto protettivo per i lavori in quota è un Dispositivo di Protezione Individuale, in genere di II^ categoria (seconda) ma possono essere anche di III^ categoria, dipende dalla certificazione.
Vado subito al punto evitando lo spiegone su cosa è un DPI, il Decreto legislativo 4 dicembre 1992 n° 475 e passo subito all’Allegato VIII del D.lgs 81/2008:
- Elenco indicativo e non esauriente delle attività e dei settori di attività per i quali può rendersi necessario mettere a disposizione attrezzature di protezione individuale
Protezione del capo (protezione del cranio)
Elmetti di protezione
- Lavori edili, soprattutto lavori sopra, sotto o in prossimità di impalcature e di posti di lavoro sopraelevati, montaggio e smontaggio di armature, lavori di installazione e di posa di ponteggi e operazioni di demolizione.
- Lavori su ponti d’acciaio, su opere edili in strutture d’acciaio di grande altezza, piloni, torri, costruzioni idrauliche in acciaio, altiforni, acciaierie e laminatoi, grandi serbatoi, grandi condotte, caldaie e centrali elettriche.
- Lavori in fossati, trincee, pozzi e gallerie di miniera.
- Lavori in terra e in roccia.
- Lavori in miniere sotterranee, miniere a cielo aperto e lavori di spostamento di ammassi di sterile.
- Lavori in ascensori e montacarichi, apparecchi di sollevamento, gru e nastri trasportatori.
- Lavori nei pressi di altiforni, in impianti di riduzione diretta, in acciaierie, in laminatoi, in stabilimenti metallurgici, in impianti di fucinatura a maglio e a stampo, nonché in fonderie.
- Lavori in forni industriali, contenitori, apparecchi, silos, tramogge e condotte.
- ecc, ecc. (omissis)

Come ricorda anche il sito di Cantiere Pro, una sentenza della corte di Cassazione, con riferimento all’Allegato VIII del D.Lgs. 81/2008 punto 3.1, sottolinea che:
“i lavori edili rientrano tra le attività che generalmente comportano la necessità di proteggere il capo e per le quali, quindi, è necessario l’elmetto protettivo, a prescindere dal fatto che il suo utilizzo sia specificamente contemplato nel documento di valutazione e l’uso dello stesso casco è imposto “dall’inevitabilità del rischio individuale” togliendo quindi ogni arbitrio alle eventuali valutazioni del datore di lavoro”.
Questa premessa per ribadire che (e in IN-SAFETY siamo d’accordo) l’elmetto protettivo va indossato sempre anche se lavoro in copertura e non ho carichi sospesi.
La scelta tecnica di un elmetto protettivo
I rischi dai quali un elmetto protettivo deve proteggere sono:
- Meccanici, come caduta di oggetti, urti e schiacciamenti laterali;
- Elettrici, isolanti e resistenti alla tensione;
- Termici, che mantengono le caratteristiche alle alte o alle basse temperature.
Per rispondere a queste necessità, i costruttori devono attenersi a specifiche normative tecniche:
- EN 397:2013 che specifica i requisiti fisici e prestazionali, i metodi di prova e i requisiti di marcatura per gli elmetti di protezione per l’industria; Nella 397 si fa riferimento a degli indici di prova che sono:
- LD = Lateral Deformation ovvero la resistenza alle deformazioni laterali;
- MM = Metal Molded ovvero la resistenza ai lapilli di metallo incandescente;
- VAC = ovvero l’isolamento dielettrico a 440 VA (da non confondere con l’isolamento dall’arco elettrico)
- EN 12492:2012 che specifica i requisiti di sicurezza e i metodi di prova per i caschi di protezione utilizzati dagli alpinisti sportivi;

La scelta, quando si parla di lavoro, dovrebbe andare quasi sempre o esclusivamente su un elmetto protettivo a norma EN 397:2013.
Ma la scelta va fatta in base alla valutazione dei rischi.
In lavori come disgaggi di costoni rocciosi o fronti di cava (ma anche altri lavori in fune) il rischio prevalente potrebbe essere costituito da urti o incidenti simili a quelli che rischiano gli alpinisti sportivi.
Ad esempio, un casco protettivo a norma EN 397:2013 deve avere il lacciolo che si apre al raggiungimento di 25 kg, per evitare che un lavoratore subisca uno strangolamento in caso rimanga impigliato.
Di contro, un caschetto da alpinisti ha il lacciolo che non si apre prima dei 50 kg, per evitare che si sganci in caso di urti o cadute sulle rocce
Nota* Molti produttori indicano i propri elmetti come certificati per entrambe le normative, sia la 397 sia la 12492. Se però abbiamo capito bene la differenza, si intuisce anche che le due norme non possono coesistere nello stesso momento. Quindi la cosa va letta bene sul manuale perché o sono solo 397 (con lacciolo ad apertura controllata a 25 kg) o sono12492 (e se riportano anche la 397, magari questa è riferita solo alla calotta e non a tutto il dispositivo). Diversa la gestione del nuovo casco Strato di PETZL che ha l’apertura del lacciolo in un certo senso “intercambiabile” ovvero settabile per i 25 kg oppure per i 50 kg, non entrambi contemporaneamente. Leggere bene sempre il manuale.
Quando si ha a che fare con rischio arco elettrico, l’elmetto protettivo deve essere testato secondo la EN 50365:2002 che specifica i requisiti che devono avere gli elmetti isolanti.
Questi caschi, rientrano nella definizione di DPI salva vita e quindi sono di III^ categoria.
Parliamo di elmetti da impiegare su impianti di Categoria 0 e 1, destinati ad essere utilizzati in ambienti in cui vi è la possibilità di contatto con un elevato potenziale di tensione elettrica (fino a 1.000 V ca e 1.500 V cc).
Infine, gli elmetti ad alte prestazioni per l’industria che devono rispondere alla EN 14052:2013 i quali devono fornire protezione contro la caduta di oggetti e urti anche al di fuori della zona sommitale e le conseguenti lesioni cerebrali, le fratture del cranio e le lesioni al collo.

Ad ogni lavoro i suoi accessori
Un elmetto protettivo che si rispetti può essere implementato con numerosi accessori, alcuni funzionali alla protezione di altre parti della testa.
Ad esempio visiere per la protezione degli occhi, gli otoprotettori o le protezioni per il collo.
Non meno importanti, i colori fluo e le appendici catarifrangenti per dare all’operatore alta visibilità.
Nel mondo tattico militare o nello spettacolo, si usano invece caschi neri e opachi proprio per limitare al massimo la visibilità del lavoratore.
Altri accessori sono propedeutici al comfort e all’igiene come ad esempio le imbottiture intercambiabili o il sostegno per le lampade frontali.
Un elemento fondamentale per la comodità è il sistema di regolazione per la circonferenza del cranio.
Quelli più economici si regolano con un cinturino a scatti ma un elmetto protettivo serio ha perlomeno un sistema a rotellina.
Altri produttori, come PETZL, hanno addirittura doppio sistema di regolazione, dietro e davanti, per migliorare il centraggio con la testa.
Ultime caratteristiche variabili, ma non per importanza, sono il peso e il grado di ventilazione che avviene per mezzo di prese d’aria laterali in punti strategici: una fessura di ventilazione è di fatto un punto debole su cui porre molta attenzione.
Raramente i caschi economici hanno delle prese d’aria.
Alcuni fabbricanti hanno anche una linea di caschi protettivi dedicati ad elicotteristi o, come nel caso di KONG, ai giudici di gara di autodromi.
Questi devono coniugare la protezione all’isolamento da forti rumori e garantire allo stesso tempo la possibilità di comunicare con un sistema radio.

L’uso di adesivi e le personalizzazioni
Siamo tutti, nel profondo, un po’ motociclisti e la personalizzazione del casco è una tentazione forte.
Tentazione che fa a cazzotti con quanto dicono i produttori che, generalmente, vietano categoricamente l’applicazione di adesivi o l’uso di pennarelli e vernici.
E’ vero, praticamente tutti i produttori lo vietano e a buon ragione.
Questo perché un DPI (lo dice anche il D.lg 81/2008) non può subire modifiche non autorizzate e questa condizione viene fatta rispettare scrivendola nero su bianco sul manuale.
Pena la decadenza delle garanzie e delle responsabilità.
Ecco svelato il motivo principale per cui è vietato apporre adesivi.
Il fatto che la colla di un adesivo possa modificare o alterare la composizione chimica, o la resistenza del guscio di plastica, è invece piuttosto difficile.
Diciamo che non è questa la ragione principale del divieto.
Piuttosto, l’apposizione di un adesivo può impedire le verifiche pre uso celando crepe o deformazioni meccaniche causate da urti accidentali.
Queste si che compromettono l’efficacia dell’elmetto protettivo.
Per gli stessi principi, è vietato l’uso di vernici o pennarelli.
Se volete scriverci sopra il vostro nome, scegliete caschi nei quali i fabbricanti hanno apposto, di fabbrica, apposite etichette scrivibili… e scrivete su quelle.

Modifiche di fabbrica
L’esigenza di colori diversi o adesivi non è però solo una questione di estetica.
In molte siti industriali e nell’organizzazione di alcuni cantieri, l’impiego di colori diversi o etichette è funzionale alla distinzione dei ruoli dei vari operatori.
Oppure particolari abilitazioni.
In un’azienda per la quale ho curato recentemente il “restyling” della dotazione degli elmetti, il RSPP ha ritenuto ottimale fornire caschi gialli ad operai non specializzati, rossi ai preposti, arancio agli operatori abilitati al lavoro in fune, bianchi ai tecnici.
Un loro regolamento interno.
Anche per questo, molti produttori hanno una gamma abbastanza variopinta.
Altri ancora sono disposti ad apporre, di fabbrica, adesivi personalizzati, con le naturali logiche di quantità minime importanti o sovraccosti particolari.
Basta guardare le dotazioni della Croce Rossa o delle Pubbliche Assistenze: caschi di produttori noti ma con insegne e colori personalizzati.
Quindi, se applicati di fabbrica, gli adesivi personalizzati (meglio se riprodotti anche sul manuale) non costituiscono di fatto delle modifiche e non fanno decadere le garanzie.
Per concludere, personalizzare un elmetto protettivo non è impossibile a patto di essere disposti a seguire alcune regole base, essere pronti a spendere di più o a rinunciare a certe garanzie.

Le conseguenze di una scelta errata
Come per imbracature e cordini, anche la scelta errata di un elmetto protettivo può portare a conseguenze spesso peggiori del non indossarlo.
Le riporta uno schema semplicissimo che si trova proprio sull’allegato VIII del D.Lgs 81:2008.
RISCHI DERIVANTI DAL DISPOSITIVO | ||
(Elmetti di protezione per l’industria) | ||
Rischi | Origine e forma dei rischi | Criteri di sicurezza e prestazionali per la scelta del dispositivo |
Disagio, interferenza con l’attività lavorativa | Comfort inadeguato | Progetto ergonomico:
|
Infortuni e rischi per la salute | Scarsa compatibilità | Qualità dei materiali |
Carenza di igiene | Facilità di manutenzione | |
Scarsa stabilità, perdita dell’elmetto | Adattamento dell’elmetto alla testa | |
Contatto con le fiamme | Non infiammabilità e resistenza alla fiamma | |
Invecchiamento | Esposizione a fenomeni atmosferici, condizioni dell’ambiente, pulizia, utilizzo |
|
RISCHI DERIVANTI DALL’USO DEL DISPOSITIVO | ||
(Elmetti di protezione per l’industria) | ||
Rischi | Origine e forma dei rischi | Criteri di sicurezza e prestazionali per la scelta del dispositivo |
Protezione inadeguata | Errata scelta del dispositivo | Scelta del dispositivo in relazione al tipo, entità dei rischi e condizioni di lavoro:
Scelta del dispositivo in relazione alle esigenze dell’utilizzatore |
Uso non corretto del dispositivo | Impiego appropriato del dispositivo con attenzione al rischio Osservanza delle istruzioni fornite dal fabbricante | |
Dispositivo sporco, logoro o deteriorato | Mantenimento del dispositivo in buono stato Controlli regolari Sostituzione a tempo debito Osservanza delle istruzioni fornite dal fabbricante |
La durata di un elmetto protettivo.
Come già accennato, se l’elmetto protettivo è di II^ categoria, è dispensato dalle ispezioni annuali, a differenza di un elmetto protettivo dielettrico di III^ categoria.
In questo caso, l’ispezione è obbligatoria e gli adesivi personali (di cui sopra) possono comprometterne l’esito.
Chi lo può ispezionare (ovvero la persona ritenuta esperta) è indicata solitamente sul manuale.
Che sia di Seconda o di terza, la cosa importante da guardare sempre e comunque la data di scadenza che solitamente è di 5 anni (negli elmetti più economici) o di 10 anni dalla data di fabbricazione (nelle marche più professionali).
Le preferenze degli specialisti IN-SAFETY
Ho chiesto ai nostri ragazzi, che vivono con l’elmetto protettivo in testa, quale usano, perché e cosa trovano di speciale.
Il primo a rispondermi è stato Corrado Mosca Riatel socio titolare e direttore di SOLUZIONI VERTICALI.
Corrado, che lavora molto in fune, ama il suo ARIES arancione della Climbing Technology perchè molto comodo, non lo fa sudare e non gli provoca emicrania come fanno invece altri caschi anche più famosi e blasonati.
Questione di comfort e conformazione fisica personale.

L’ARIES è un elmetto di ultima generazione con doppia certificazione:
- EN 397:2012 con i seguenti requisiti opzionali:
- protezione contro gli urti e penetrazione fino a -30°C;
- resistenza alla deformazione laterale;
- protezione contro il contatto accidentale con conduttori in tensione che possono raggiungere 440 V di corrente alternata;
- protezione contro le proiezioni di metalli in fusione.
- EN 50365:2002 class 0, protezione da rischi elettrici, tensione nominale massima di 1500 V in corrente continua o 1000 V in corrente alternata.
Questo è quanto mi ha detto invece Santino Fratti, titolare di PRAXIS, formatore, operatore in fune e tecnico esperto in ispezioni e verifiche non distruttive, IRATA L3 e SPRAT L3
“KASK! Comodi, li vogliono tutti, soprattutto i modelli plasma EN 397 e superplasma EN 12492.
Devi però stare attento nel pulirli, l’interno ha i fissaggi in velcro un po’ deboli e io che ho i capelli ispidi come la barba, quando li lascio crescere, li rovino.
Ho provato anche la versione HP per un paio d’anni, tostissima, ma pesantuccia.
PETZL ha un assorbimento degli urti diverso.
Non ha espanso sotto la calotta, ma una sospendita a 6 punti (Modello Vertex nelle varie versioni e Alveo Vent fino al 2018).
Gli accessori sono ok.
Dei nuovi ho provato sia il modello Vertex che lo Strato.
A parte il giochino del sottogola (EN 397 o EN 12492), son belli e mi sembrano comodi, oltre che pieni di accessori a pagamento e ad un prezzo non abbordabilissimo.
KONG mi ha lasciato il segno per tre giorni: li uso ma penso che per un pelato come me, sia un casco un po’ scomodo.
La loro visiera mi lascia pochissimo spazio per gli occhiali”.

I fratelli Morbidoni di ICON, Emanuele e Marco, pare non abbiano dubbi: PETZL quando lavorano in fune, e KASK. Trovano in KONG un ottimo prodotto per i corsisti della loro palestra e come rivendita, per il buon rapporto qualità prezzo.

Anche Giovanbattista Faena, ID linee Vita ha tutte le preferenze per KASK.
Personalmente ho usato molto l’elmetto Mouse Work della KONG e ne vendo anche tanti: è piccolo e leggero, ha un buon rapporto qualità prezzo, un’ottima estetica ma alcuni problemucci sulla comodità della sospendita: poco imbottita e tendente a stringere sulla nuca.
In questo, devo dare ragione a Santino.
Ultimamente un collega mi ha regalato un VERTEX VENT HI-VIZ di PETZL, giallo alta visibilità e accessoriato con visiera e otoprotettori.
Essendo abituato al Mouse Work, lo trovo un po’ più peso ma più grande e più rigido (per me indice di buona struttura).
Efficace il suo sistema di regolazione della sospendita CENTERFIT che permette di regolarla con due rotelle laterali invece che con la rotella dietro, per una migliore ricerca del comfort.
Geniale la possibilità di ripiegare la sospendita all’interno per riporlo nello zaino: con il Mouse Work questo non si può fare e spesso ne esce deformata.

Sia Francesco Badini di EDECOS, che Cristiano Bianchi usano KONG che trovano comodo, piccolo e leggero.
Cosa che non guasta, con un buon appeal presso il loro clienti a cui piace molto, anche per la buona gamma di colori e versioni disponibili.

Provare, provare, provare
Per tornare al concetto iniziale, un elmetto protettivo è come un paio di scarpe: ognuno ha la sua testa così come ha i suoi piedi.
L’unica cosa da fare è provarli, a costo di comprarne due o tre modelli diversi per poi tenere quello che lascia migliori sensazioni.
Se li vuoi provare, noi di IN-SAFETY possiamo aiutarti, li conosciamo un po’ tutti e ne abbiamo dietro sempre diversi tipi.
Contattaci e veniamo a farteli vedere.


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Fonti delle immagini:
PETZL: https://www.petzl.com/IT/it/Professionale/Caschi
KASK: https://www.kask-safety.com/en/safety-helmets.htm
KONG: https://www.kong.it/it/2-prodotti/items/f3-caschi/
CT: https://www.climbingtechnology.com/professional/caschi-e-lampade-1
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