Progettare il salvataggio con ingresso dei soccorritori.
Entry Rescue è il termine che gli specialisti in soccorso e recupero in spazi confinati utilizzano per indicare il salvataggio con ingresso del soccorritore.
È una delle possibilità da prevedere quando devi pensare e progettare delle procedure di salvataggio e recupero per un ambiente confinato o sospetto di inquinamento.
Una procedura Entry Rescue è:
- necessaria molte più volte di quello che si pensa;
- richiede più personale rispetto ad altre procedure;
- necessita di più formazione e addestramento;
- servono generalmente più attrezzature specifiche;
Condizioni che si traducono solitamente in maggiori costi e necessità di conoscenze molto più specifiche.
Le tecniche di Entry Rescue, infatti, sono tra le meno conosciute dalla maggior parte degli RSPP e consulenti della sicurezza non specializzati.
Come conseguenza, agli specialisti IN-SAFETY® capita spesso di essere chiamati ad intervenire in situazioni lavorative che riguardano ambienti confinati dove il RSPP ha commesso degli errori.
Con questo articolo vorremmo spiegarti come individuare le situazioni e gli ambienti che necessitano di una procedura Entry Rescue e come impostarla sia tecnicamente che normativamente.
Il presente articolo è stato scritto a seguito dell’incontro di approfondimento tenuto da Davide Livocci, titolare di Emergency Global Consulting, con gli specialisti IN-SAFETY® svolta presso il Centro di formazione e addestramento Follow Up di La Spezia.

Gli specialisti IN-SAFETY® al meeting di aggiornamento sulle procedure Entry Rescue con Davide Livocci, organizzato presso il centro di formazione Follow Up di La Spezia
Quale procedura di soccorso dovresti prevedere.
Nell’articolo “SOCCORSO E RECUPERO SPAZI CONFINATI: 4 COSE DA SAPERE” abbiamo citato principalmente 3 tipologie di procedure di soccorso e recupero:
- Non-Entry Rescue;
- Entry Rescue;
La procedura denominata Non-Entry Rescue, è quella che viene portata normalmente come esempio nei corsi base sugli ambienti confinati o sospetti di inquinamento.
Hai presente quelle esercitazioni con il tripode sopra una botola?
Un operatore entra rimanendo collegato costantemente al verricello di soccorso.
Se succede qualcosa che gli fa perdere i sensi o che comunque lo rende incapace di uscire da solo, il lavoratore addetto al soccorso attiva gli strumenti di recupero e lo tira fuori.
Attrezzatura basica, personale addetto minimo e minimo rischio per il soccorritore.
I limiti delle procedure Non Entry Rescue.
Questo tipo di procedura lo puoi attuare solo nei casi in cui non corri il rischio di causare lesioni all’infortunato.
Quindi devi avere almeno le seguenti condizioni:
- geometrie interne semplici e lineari;
- limitati movimenti del lavoratore all’interno dello spazio confinato che dovrà restare in prossimità della verticale dell’accesso;
- continuo contatto visivo tra operatore e soccorritore;
- via di estrazione libera da ostacoli (o liberabile in tempi rapidi);
- nessun utilizzo di APVR airline che possano impigliarsi nel cavo di recupero.
- mancanza di rischio traumi da caduta, impigliamento, seppellimento o caduta gravi;
Per esclusione, dovrai prevedere una procedura Entry Rescue ogni volta che:
- la geometria dell’ambiente interno è complessa, con ostacoli o percorsi misti (verticali e orizzontali);
- l’operatore deve muoversi nello spazio confinato;
- è impossibile mantenere il contatto visivo diretto, sia dell’infortunato che del percorso di uscita;
- non vi è certezza sull’assenza di ostacoli che possono impedire al ferito di essere recuperato;
- c’è la possibilità che un APVR airline si impigli nelle attrezzature di soccorso;
- vi è possibilità di un trauma;
In base alle condizioni sopra elencate si può praticamente dire che il 99% degli spazi confinati orizzontali necessitano di procedure di salvataggio Entry Rescue.
Le lesioni da trauma negli ambienti confinati.
Come forse già saprai, da fonte Gisem (Gruppo italiano studio epidemiologico mielolesioni) risulta che il 67% delle lesioni vertebro-midollari ha origine traumatica e che il 12% degli eventi totali rientra nell’ambito degli incidenti sul lavoro.
È dimostrato poi che oltre il 25% dei danni permanenti al midollo spinale è attribuibile a manovre errate dei soccorritori.
Ovvero, molti traumatizzati che non sono stati opportunamente immobilizzati a livello di rachide cervicale e colonna vertebrale, proprio a causa di questa mancanza hanno subito lesioni gravi o permanenti al midollo durante le manovre di salvataggio.
Nonostante la maggior parte di questi soccorritori non sia stata perseguita penalmente, non si può dire la stessa cosa sulle condanne al risarcimento danni in sede civile.
Alcuni risarcimenti sono stati talmente alti da superare di gran lunga i premi assicurativi.
Il rischio di causare traumi vertebro midollari o altri altri traumi altrettanto gravi (trauma addominale, toracico o una frattura scomposta di un arto) durante il soccorso in spazi confinati dovrebbe portare il Datore di Lavoro e il suo RSPP a porre maggiore attenzione a certi tipi di procedura prendendo le misure più adeguate.
Magari affidandosi a servizi o professionisti esterni laddove non si ha sufficiente esperienza o personale interno.
Abbiamo notato invece che, forse a causa della scarsa conoscenza o per scarse capacità e disponibilità tecniche, la maggior parte delle aziende liquidano la faccenda con procedure da “pesca alla carpa” anche quando fisicamente inapplicabili o molto pericolose per i motivi appena spiegati.
In caso di emergenza, chiamo i Vigili del Fuoco e non è più un mio problema?
L’obbligo a prevedere una procedura adeguata di soccorso è sancito dall’art. 3, comma 3 del DPR 177/2011.
Lo stesso articolo invita al coordinamento con gli enti preposti al soccorso sanitario (118) e con il Vigili del Fuoco.
Coordinarsi non vuol dire affidarsi completamente e comunque non è semplice in quanto i soccorritori del SSN non sono né attrezzati ne addestrati ad entrare in spazi confinati.

Mentre le squadre di soccorso tecnico dei Vigili del Fuoco possono solo garantire di rispondere il prima possibile ad una eventuale chiamata di soccorso.
Il prima possibile dei Vigili del Fuoco dipende da numerosi fattori quali distanza del cantiere dalla caserma o impegni in altri interventi.
C’è da dire inoltre che nei tempi di intervento dei Vigili del Fuoco c’è da considerare che:
- appena arrivano, non sanno esattamente dove sia lo spazio confinato o se i loro mezzi siano in grado di arrivare nelle vicinanze del punto di accesso;
- devono fare una valutazione della situazione, lo scenario;
- decidono poi quale attrezzatura di soccorso spiegare, anche solo banalmente se indossare un’imbracatura o no;
- impiegano tempo a conoscere e valutare i potenziali pericoli interni;
- e altre situazioni ancora…
Tutte operazioni che, per quanto preparati e rapidi siano, richiedono tempo che viene sottratto a quello utile per la sopravvivenza del ferito.
È difficile quindi giustificare una procedura in cui ci limitiamo a scrivere: “in caso di infortunio, chiamare il 118 e i VVF”.
Come mi ha scritto un giorno Claudio Delaini, ingegnere esperto in sicurezza e perito del Tribunale di Milano: “a livello formale, la procedura scritta così esiste e se ne può difendere la posizione. A livello materiale, se qualcuno muore per questa procedura generica e insufficiente, le cose cambiano”.
La mancanza di una valutazione che porti alla definizione di una completa procedura di soccorso e recupero rientra pertanto nella definizione del codice penale, articolo 40:
“Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”
Una procedura Entry Rescue con soccorritori formati specificatamente.
Meglio quindi se elabori una tua procedura, affidandoti magari a specialisti preparati in grado di supportarti, che preveda l’ingresso di soccorritori formati, attrezzati e addestrati anche alle tecniche di primo soccorso e immobilizzazione.
E bada bene, non è detto che siano dipendenti interni: possono essere anche soccorritori industriali che prestano un servizio specialistico.
A livello normativo, il Testo Unico in materia di Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro, cita più volte il termine “Salvataggio” indicandolo come uno dei principali obblighi del Datore di Lavoro.
Così come indica specifici obblighi formativi ed organizzativi in materia di “Gestione delle Emergenze” e “Primo Soccorso” (art. 45).
In base a questo articolo è il Datore di Lavoro che prende provvedimenti in materia di primo soccorso e di assistenza medica d’emergenza.
Le attrezzature, i requisiti degli addetti al primo soccorso e il loro standard formativo sono demandati al D.M. 388/2003.
Addetti al primo soccorso secondo D.M. 388/2003
La norma individua il Datore di Lavoro come il soggetto preposto, in relazione alla classificazione della propria azienda (tipologia di lavoro, numero di lavoratori, rischi specifici), a:
- individuare il personale addetto al soccorso;
- organizzarne la formazione specifica
- fornire le idonee attrezzature per la gestione del primo soccorso aziendale.
Si deve sottolineare, in relazione ai contenuti dei corsi previsti negli allegati 3 e 4 del Decreto, che le competenze teorico pratiche che i primi soccorritori dovrebbero acquisire comprendono numerosi argomenti quali:
- comunicazione di emergenza;
- gestione della scena;
- valutazione delle condizioni dell’infortunato;
- trattamento di base;
- tecniche di trasporto per numerose patologie mediche e traumatiche.

Addestramento e formazione all’uso di DPI e APVR adeguati al salvataggio Entry Rescue
Ogni situazione emergenziale in spazi confinati può rappresentare un serio pericolo per i soccorritori.
Come tristemente noto, secondo le statistiche del NIOSH risulta che circa il 60% delle vittime degli incidenti negli spazi confinati sono rappresentate dal personale che ha tentato il soccorso a quel 40% che per primo è rimasto coinvolto.
Per questo è fondamentale la disponibilità di idonei Dispositivi di Protezione Individuale e della relativa formazione all’utilizzo, specialmente per la protezione avanzata delle vie respiratorie.
In caso probabile presenza di atmosfere inquinate, in un procedura Entry Rescue i soccorritori hanno necessità di APVR isolanti, sia per se stessi che per il ferito.
Sull’argomento, il D.M. del 2001 redatto dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, fornisce numerose indicazioni su scelta, uso e formazione sugli APVR (Apparecchi di Protezione delle Vie Respiratorie).
Tra le varie indicazioni si legge che:
“la formazione di base dovrebbe normalmente avere una durata di almeno 20 h. Se si devono usare altri tipi di apparecchi e non devono essere effettuate operazioni di salvataggio, la durata della formazione può essere ridotta, ma non deve comunque essere minore di 8 h”.
In caso di trauma, entrare e immobilizzare.
Tornando alle scelta tra Non-Entry e Entry Rescue, se non abbiamo la certezza dell’assenza di trauma, dobbiamo sempre sospettarlo e adottare le precauzioni previste prima di effettuare il trasporto dell’infortunato.
Ad esempio si può presupporre la presenza di un trauma quando:
- abbiamo visto cadere una persona o ci viene riferito il fatto dai presenti;
- l’infortunato è cosciente e ci riferisce l’evento traumatico;
- non ci sono testimoni ma l’analisi della scena ci fa sospettare il trauma.
Per cui, verificata la sicurezza della scena per il soccorritore e per il resto della squadra, possiamo entrare a soccorrere il ferito mettendo in atto le tecniche di primo soccorso, di immobilizzazione e di trasporto previste.
In un ambiente confinato potrebbero essere molto pratici quei presidi che si utilizzano anche nell’estricazione in caso di incidenti stradali.

I presidi di immobilizzazione impiegabili in una procedura Entry Rescue.
Il primo “presidio di immobilizzazione” è il collega formato o il primo soccorritore che raggiunge l’infortunato e valutato un sospetto trauma.
Egli si assicura che il collega ferito non compia movimenti e ne immobilizza manualmente la testa supportandolo psicologicamente.
Il collare cervicale.
Il collare cervicale è un presidio che possiamo impiegare nell’immobilizzazione del rachide di un paziente politraumatizzato.
Il suo impiego è consigliato da tutte le Linee Guida sin dal primo approccio ad una vittima di trauma e serve come primo step per raggiungere un’adeguata immobilizzazione protettiva. Da solo però non garantisce un sufficiente livello di immobilizzazione.
Il corsetto di immobilizzazione spinale (KED).
Il dispositivo di estricazione, noto come Kendrick Extrication Device (KED), è un presidio di primo soccorso studiato per l’estrazione di un traumatizzato da un veicolo.
Proprio per la sua flessibilità e praticità di impiego all’interno di abitacoli, si può agilmente utilizzare negli spazi ristretti degli ambienti confinati o sospetti di inquinamento .
Tavola spinale.
La tavola spinale o asse spinale è un presidio utilizzabile per l’immobilizzazione ed estricazione di un paziente traumatizzato, seppur per brevi spostamenti.
E’ composta da un supporto rigido con asole e un cinghiaggio di immobilizzazione oltre ad un ferma capo, ma spesso ha dimensioni incompatibili con le geometrie degli spazi confinati .
Steccobende.
Una steccobenda è un presidio di immobilizzazione per gli arti che possiamo impiegare per evitare che una arto traumatizzato subisca ulteriori danni dovuti al movimento durante l’estrazione dallo spazio confinato.
Imbracatura, triangolo di evacuazione o cos’altro in un salvataggio Entry Rescue?
Contrariamente a quanto avviene in una procedura Non-Entry Rescue, dove recuperiamo il ferito azionando il sistema di recupero collegato all’imbraco, in una procedura Entry Rescue, che prevede l’immobilizzazione del ferito, l’imbracatura potrebbe essere d’impaccio.
Per poter applicare un collare cervicale o un KED, potremmo avere la necessità di toglierla, anzi di tagliarla.
Meglio quindi se prevediamo un sistema di spostamento e/o sollevamento alternativo.
Tra i sistemi di movimentazione di un ferito possiamo avere a disposizione:
- telo portaferiti;
- triangolo di evacuazione;
- vari tipi di barella tecnica e barella atraumatica (cucchiaio);

Quanti soccorritori servono in una procedura Entry Rescue?
Una procedura di primo soccorso con immobilizzazione e successiva movimentazione di un traumatizzato è di per sé un’operazione complessa ma necessaria ad evitare danni.
Le difficoltà aumentano in corrispondenza di ostacoli e passaggi stretti come passi d’uomo verticali o orizzontali.
Sommiamo anche un eventuale impiego di autorespiratore per soccorso e EEBD con il suo peso e ingombro.
Ecco evidente che nei migliori dei casi, come ad esempio l’estrazione di un ferito attraverso un passaggio orizzontale a livello del piano di campagna, possono volerci almeno due soccorritori interni e due all’esterno, pronti al passaggio mano a mano del ferito.
Se facciamo un veloce calcolo, vuol dire che per un solo lavoratore dentro, ne servono 4 fuori, disponibili e addestrati, pronti ad intervenire in un tempo ragionevolmente breve.
Sta di fatto che la scelta del numero di addetti non è mai arbitraria ma dipende sempre dalle reali condizioni fisiche dell’ambiente in cui si andrà a lavorare…. a meno che non siate in grado di immobilizzare, imballare, sollevare e far passare da una botola un ferito da soli.
Conclusioni sulle procedure Entry Rescue.
In base a quanto hai visto in questo articolo, dovrebbe esserti evidente che una procedura standard, da copia/incollare, è un’utopia.
Ogni ambiente confinato è una storia a sé con procedure da studiare di volta in volta, in base a numerosi fattori tra cui:
- forma, posizione e dimensione del passo d’uomo;
- sviluppo e conformazione interna dello spazio confinato;
- localizzazione all’interno dell’azienda;
- numero di operatori necessari o di soccorritori disponibili…
e altre numerose varianti tra cui, soprattutto, i rischi atmosferici.
Le procedure sono condizionate dai mezzi tecnici disponibili o acquistabili sul mercato che richiedono, sempre e comunque, un addestramento efficace.