Come intervenire e quali procedure verificare per l’accesso, il lavoro e un’eventuale estrazione di emergenza in un essiccatore agricolo identificato come spazio confinato.
Un essiccatore è un macchinario comunemente utilizzato nell’industria agricola e zootecnica italiana, soprattutto nella produzione di mangimi, foraggi, pellet e tabacco.
Ma un essiccatore è spesso anche un ambiente confinato al cui interno è necessario entrare periodicamente per operazioni di manutenzione e pulizia.
Recentemente, lo specialista Richard Dallaghan ed Emanuele Morbidoni, in affiancamento al Dott. Francesco Scorza di Studio Cetus srl (RA),
si sono trovati di fronte al problema di pianificare una procedura di emergenza in un essiccatore dalle dimensioni ciclopiche.
Un essiccatore cilindrico per erbe mediche di oltre 18 m di lunghezza con un diametro esterno di circa 6 m.
Alle origini del problema
L’impianto di essiccazione ha più di 20 anni e in origine era stato progettato per l’essiccazione della barbabietola da zucchero.
Come già anticipato, l’essiccatore è costituito da un enorme tamburo rotante formato da 3 cilindri concentrici.
In origine, la polpa veniva introdotta, mediante nastri trasportatori, da una delle estremità del tamburo direttamente nel cilindro più interno.
Questo, ruotando sul suo asse, ne favoriva l’avanzamento portando la polpa all’altra estremità dove passava poi nel cilindro intermedio.
Sempre per effetto della rotazione, la polpa percorreva il tamburo a ritroso attraverso il cilindro intermedio fino a finire nel cilindro più esterno.
Con un ulteriore cambio di direzione, la polpa tornava verso l’altra estremità per poi uscire e continuare il percorso su altri nastri trasportatori, verso altre lavorazioni.
Nel suo percorso avanti, indietro e poi ancora avanti, la polpa veniva investita da un costante getto d’aria ad alta temperatura in grado di abbassarne il livello di umidità al valore richiesto.
Aria ad altissima temperatura, ovviamente, di qualche centinaio di gradi Celsius.
La conversione dell’essiccatore.
Negli anni, l’azienda ha convertito l’essiccatore per barbabietole in un essiccatore per erbe mediche destinate alla nutrizione animale, sotto forma di pellet e rotoballe.
Erba proveniente dagli sfalci delle aziende agricole delle province circostanti e non solo.
Per la diversa consistenza e il diverso peso specifico di tali erbe, l’essiccatore ha dovuto subire alcune modifiche funzionali in modo da ottenere risultati soddisfacenti.
Ma con il tempo, sono subentrati altri problemi.
Infatti, periodicamente i titolari dell’azienda e i loro lavoratori, si sono trovati a dover fermare l’essiccatore, aspettare che si abbassasse la temperatura, ed entrare per rimuovere grumi d’erba che, incastrandosi tra i cilindri, impedivano il normale flusso della biomassa.

Un essiccatore è un ambiente confinato molto pericoloso.
L’accesso all’interno era costituito da una portella posta nei pressi della bocca di alimentazione e da alcune piccole portelle poste all’estremità opposta.
La rotazione continua del cilindro non dava la possibilità di determinare a che altezza da terra rimanessero queste portelle una volta fermato il tamburo.
Inoltre, un eventuale grumo poteva fermarsi sia vicino alle portelle che nel punto più distante e, indifferentemente, nel cilindro intermedio o in quello esterno.
Le intercapedini tra i cilindri interno e intermedio, e tra questo e quello esterno, sono molto strette, difficili da percorrere in piedi e, come se ciò non fosse abbastanza, tappezzate da centinaia di lame d’acciaio di 6 mm di spessore.

Ridurre i rischi e facilitare l’accesso.
La proprietà e il suo RSPP, interpellato l’Ing. Francesco Scorza e l’azienda manutentrice dell’essiccatore (ancora esistente ed in possesso di tutti gli schemi del costruttore) si è convinta ad intervenire strutturalmente sull’essiccatore con lo scopo di:
- migliorare il flusso della biomassa per limitare il numero degli intasamenti e delle fermate;
- migliorare la facilità di accesso e quindi la sicurezza per gli operatori chiamati ad intervenire in caso di blocco.
Nella gerarchia delle priorità, quando si parla di lavoro in spazi confinati, ci mettiamo sempre quella di cercare di ridurre al minimo la necessità di ingresso.
A questo scopo, gli ingegneri del manutentore/costruttore hanno ritenuto che la migliore soluzione fosse quella di aprire, sul tamburo, 2 grandi portelle al centro, in opposizione l’una con l’altra.
E così è stato fatto.
Le nuove portelle, grandi circa 1,2m x 1,2m, hanno lo scopo principale di intervenire sul flusso d’aria dell’essiccatore, in quanto, una volta aperte, modificano la spinta sulla biomassa disostruendo eventuali intasamenti.
Queste aperture sono passanti e attraversano le 3 pareti dei cilindri interni.
Allo stesso scopo, si è ritenuto di dover eliminare alcune file di lamelle, non più necessarie data la differenza tra erbe mediche e quello che era il prodotto originario da trattare, le barbabietole.
In teoria, l’eliminazione di alcune lamelle e l’installazione di queste nuove portelle, doveva abbattere il numero di fermi macchina di circa il 50-60%, e la necessità di accesso di un operatore di oltre l’80%.
Con queste modifiche si sono raggiunti in larga misura gli obiettivi preposti.
E’ stato modificato anche il comando di rotazione, adesso in grado di fermare il tamburo nella posizione più indicata per aprire una delle portelle e accedervi comodamente.

Procedure di accesso e di estrazione in emergenza.
Raggiunto l’obiettivo di limitare al minimo le necessità di accesso, c’è da studiare come farlo in quelle rare occasioni che si verificheranno.
Come già anticipato, tali operazioni saranno agevolate dalle nuove portelle, molto ampie e all’altezza del piano di campagna.
Si tratta adesso di capire quale dotazione e quali DPI dovranno avere gli operatori che vi accedono e come intervenire in caso di emergenza o infortunio all’interno dell’essiccatore.
Ed è in questa fase che il Dott. Francesco Scorza ha chiesto l’intervento di Richard Dallaghan, direttore di Smart Vita srl, azienda del Network IN-SAFETY e specialista in anticaduta industriale, DPI e sicurezza spazi confinati.
Richard è intervenuto, coadiuvato da Emanuele Morbidoni di ICON snc (altra azienda del Network), già istruttore e soccorritore industriale nonché operatore specializzato per interventi industriali su fune.

Lo studio della procedura per l’essiccatore.
Studiata la documentazione presentata ed eseguito un sopralluogo in azienda, si è valutato di prevedere, per gli operatori, la dotazione di DPI generici, come scarpe, guanti ed elmetti protettivi con sottogola.
Nonché la dotazione di abbigliamento costituito da tute integrali, ad alta visibilità e senza tasche, oltre che speciali imbracature molto aderenti, il tutto per limitare al massimo il rischio di impigliamento all’interno (dove ci sono le famose lamelle, anche se ridotte in numero).
Data la conformazione fisica del tamburo dell’essiccatore e la presenza delle lamelle rimaste (oltre che scarsità di luce), molti dei rischi riguardano proprio eventuali urti della testa e l’impigliamento del vestiario.
L’imbracatura, che da una prima valutazione, poteva sembrare aumentare il rischio di impiglio, è stata ritenuta più che necessaria proprio per poter afferrare in maniera salda un eventuale ferito in quelle condizioni.
Altra dotazione ritenuta necessaria: un dispositivo man down con avvisatore acustico, in quanto le scarse condizioni di luce potrebbero interferire con il controllo da parte dell’operatore/soccorritore che rimane all’esterno.

Ma come portare fuori un ferito in caso di emergenza?
No al tripode (l’accesso è orizzontale) e no a qualsiasi tipo di winch in quanto, date le lame, sarebbe impossibile trascinare fuori un ferito senza correre il rischio di triturarlo sulle lamelle.
Piuttosto meglio prevedere l’ingresso di due soccorritori con una barella arrotolabile e una teleferica in fune per sollevarla e spingerla fuori.
Per la teleferica, serve una fune tessile semistatica, una carrucola, un paranco di tensionamento, un discensore e varie tipologie di connettore.
Le considerazioni sono state fatte anche in funzione del fatto che i lavoratori saranno addestrati ma, non essendo esperti operatori su fune, meglio prediligere funi pre-asolate e kit preassemblati piuttosto che l’impiego sistemi di nodi.
La prova diretta nell’essiccatore
Fatte le prime valutazioni, l’approccio IN-SAFETY è quello di verificare sul sito.
In questo, ci facciamo aiutare dal nostro manichino RUTH LEE.
“Rollo”, per gli amici.
Rollo è un manichino di addestramento in kevlar, dal peso di 75 kg e con una realistica rigidità delle articolazioni.
Altro vantaggio è che non collabora e non si fa male se qualcuno sbaglia manovra di addestramento.
Portiamo dentro Rollo (non senza difficoltà) e lo posizioniamo nella peggiore posizione probabile.

Via il cronometro e inizia la prova.
Il primo soccorritore individua il ferito e la posizione della testa rispetto all’uscita.
Lo oltrepassa, portandosi con se un capo della fune, e la ancora a circa 3 metri oltre il ferito (dalla parte opposta del ferito rispetto l’ingresso).
Il secondo ancora l’altro capo dalla parte opposta della portella, rispetto al ferito.
Tutto è molto più chiaro se guardi lo schema qua sotto.
Imbarellato il ferito, stretto bene e protetto il capo, si verricella la barella alla carrucola utilizzando le apposite cinghie per il sollevamento orizzontale.
Poi un soccorritore mette in tensione la fune con il paranco fino a che la barella non si solleva quanto basta a farla scorrere sopra le lamelle dell’essiccatore.
A questo punto si fa scorrere ferito e barella fino alla portella dove, utilizzando il discensore collegato al sistema, si allenta la fune affinché si possa farlo uscire.
Semplificando, un soccorritore allenta la teleferica, l’altro guida la barella fuori dalla portella.
Dalla prima prova fatta in sito si è dimostrato che il ferito può essere portato fuori in salvo, in meno di 25 minuti.
Con un po’ di pratica, i tempi possono scendere sensibilmente.
Direi, prova superata alla prima!

Codificare le procedure e programmare l’addestramento al lavoro nell’essiccatore.
Fatte un altro paio di prove, si è dato le ultime indicazioni al manutentore/costruttore come, ad esempio, realizzare dei fori a distanze intervallate sulle lamelle, sufficientemente grandi da poterci attaccare dei moschettoni, quelli per ancorare al teleferica.
Non resta che mettere nero su bianco le procedure, condivise con il consulente e il RSPP.

Gli specialisti IN-SAFETY offrono generalmente la produzione scritta delle procedure da effettuare che verranno poi integrate nel DVR.
Arrivati a questo punto, bisogna programmare un efficace piano di addestramento per gli addetti, compatibile anche con i programmi produttivi dell’essiccatore.
La produzione deve infatti ripartire, è arrivata la primavera e l’erba degli sfalci inizia ad arrivare in azienda.
Si decide quindi di simulare l’intervento nell’essiccatore all’interno della palestra di formazione dello Studio Cetus, una palestra ben attrezzata e organizzata proprio per la formazione e l’addestramento al lavoro negli spazi confinati e con gli APVR.

Siccome alcuni operatori dell’azienda non hanno ancora svolto la formazione per il lavoro negli spazi confinati, si decide di integrare l’addestramento con un corso di formazione completo anche di tutta la parte teorica.
La formazione prevede un programma di circa 18 ore diviso in 1 giornata intera al centro formazione e 6 ore direttamente nell’essiccatore, in azienda:
- 2 ore di teoria sugli spazi confinati e sul DPR 177;
- 3 ore di formazione e pratica con gli APVR;
- 3 ore di simulazione delle procedure in palestra;
- 6 ore di ripasso delle procedure e addestramento nell’essiccatore.

Il metodo IN-SAFETY
L’abbiamo scritto in più occasioni quanto riteniamo importante trovare le soluzioni più adatte al cliente e che le soluzioni sono composte solo in parte dai dispositivi e dai DPI.
Come nel caso dell’essiccatore di questa azienda, il lavoro più importante è quello di individuare, prima di tutto, il modo di ridurre al minimo i rischi.
Si comincia col cercare di evitare, fin dove è possibile, l’accesso di personale.
Intervenendo sul design dell’essiccatore, il numero di accessi necessari è stato ridotto ai minimi termini.
I rischi residui sono stati affrontati mettendo a punto, anche mediante prove pratiche, le procedure più funzionali.
Poi bisogna addestrare il personale alle reali procedure che dovranno eseguire che, in questo caso, non prevedono nemmeno lontanamente l’uso di un tripode o di un verricello.
Infatti l’azienda non ha dovuto comprare ne gruette ne tripodi ma solo DPI adeguati.